alteaIntervista ad Annalena Benini.

Autrice de I racconti delle donne

a cura di Altea Alaryssa Gardini

Annalena Benini

Ricordate che vi ho molto parlato de “I racconti delle donne” di Annalena Benini?

Ve lo reintroduco:

I Racconti delle donne è un’antologia di racconti scritti da donne talentuose, grandi e imperfette. Esponenti della grande letteratura mondiale e che non hanno avuto paura di scrivere di tutti quei sentimenti che ci rendono persone oltre che donne.

Guerriere ed esseri eterei. A volte, anche piccole e meschine.

Esattamente come i nostri colleghi uomini.

Non è fantastico?

Il libro è edito per Einaudi nel 2019 e, nonostante si avvicini alla boa dei due anni di pubblicazione, è ancora una delle antologie più apprezzate tra le vendite in libreria.

A questa raccolta ho dedicato un articolo sui titoli Imperdibili di settembre.

5 Libri Imperdibili da 5 Donne Imperdibili

e la recensione alla raccolta stessa.

Le trovate entrambe in Cultura al Femminile.
L’autrice de “I racconti delle donne”: Annalena Benini è nata a Ferrara nel 1975 ma vive vive a Roma.

È giornalista e scrittrice. Presta la sua penna a “Il Foglio” dal 2001 e scrive di cultura, persone, storie. La rubrica di libri “Lettere rubate” esce ogni sabato mentre l’inserto “Il Figlio” esce ogni venerdì ed è anche un podcast.

Oggi, Annalena Benini è ospite di Cultura al Femminile e ha accettato di rispondere a qualche mia domanda sul suo libro.

Come è nato il progetto de I racconti delle donne?

Il progetto è nato per il desiderio di mostrare e raccontare la forza e la bellezza della scrittura delle donne, la capacità di costruire la vita con le parole, e mostrare anche il cammino di libertà, il cambiamento della vita e della letteratura. Però ho scelto racconti che non fossero solo bellissimi, ma anche precisi nel raccontare un preciso momento della vita di una donna. Volevo mostrare la complessità, quindi anche la possibilità del fallimento, il disamore, la paura, l’invidia, il tormento.

Il racconto di Margareth Atwood, Fantasie di stupro, ci narra di come le donne possano permettersi di fantasticare su di un argomento che sembra una prerogativa maschile, senza dover davvero affrontare tutto l’apparato emotivo di quello che rappresenta una vera aggressione. Ma nel volume troviamo un’altra scrittrice, Elsa Morante, che su di uno stupro ha fondato tutta la miseria e la follia di una guerra. Potrebbe, in un’epoca come la nostra, sentirsi legittimata nel raccontare quello che le è accaduto inserendo quel grado di amara ironia che è tipica della narrazione della Atwood?

L’ironia, in un caso del genere, è un grande atto di coraggio, libertà, e anche pietà. Elsa Morante nello stupro de La storia, su cui davvero tutto si fonda, è capace di pietà senza ironia, è capace di pietà con l’epica del racconto sui vinti. Margaret Atwood in Fantasie di stupro rinuncia totalmente all’epica (si tratta appunto di fantasie, non di realtà) e riempie di ironia il pensiero sulla più terribile delle esperienze, e così la sconfigge, la distrugge.

Lei si è mai sentita un mostro come la Dederer? Possiamo, come donne, sentirci mostri e sovrani del nostro cumulo di barbarie? Dovremo farcene una colpa o indossare la corona?

Il mio problema è che non mi sento abbastanza un mostro, vorrei esserlo molto di più. Essere abbastanza un mostro da finire il mio lavoro, da esprimere la mia ambizione, da voltare le spalle a tutti in nome, come scrive Dederer, del completamento dell’opera.

La mostruosità della dedizione è un pregio che ammiro moltissimo nelle donne, perché so quanti ostacoli in più devono superare, e di quanti cumuli di barbarie interiori devono sentirsi colpevoli per raggiungere lo stesso obiettivo di un uomo.

Quando mi dicono: “eh, quella è una donna molto ambiziosa”, lo dicono come una critica, come qualcosa di stonato.

Io rispondo: che bellezza! Perché una donna non dovrebbe essere ambiziosa? Non l’ho mai capito.

Leggendo le pagine de I racconti delle donne, io mi sono sentita invidiosa.

Non scriverò mai come queste donne e, al contempo, so che alcune di loro hanno pensato la stessa cosa dei loro colleghi e anche delle loro colleghe. Lei ha mai provato lo stesso? Come può una donna gestire uno dei più umani sentimenti come quello dell’invidia e uscirne più forte?

Un giorno ho presentato questo libro alla Libreria delle donne di Milano, e verso la fine è arrivata Luisa Muraro, il cui pensiero io ammiro moltissimo. Stavamo parlando proprio di invidia.

Luisa Muraro ha detto: guardate che l’invidia è un sentimento sacro. Perché contiene ammirazione, desiderio di emulazione, che sono spinte positive.

L’invidia ti può spingere a essere migliore, e comprende anche la considerazione del valore dell’altro. Nei racconti che ho curato c’è quello di Katherine Ketcovich, “Invidia”, che mostra l’invidia per un uomo, il suo compagno scrittore, Jonathan Franzen. Lei gli invidia il talento.

Non so se è la stessa cosa, so però che nell’invidia che provo verso le mie scrittrici, o verso chiunque sia bravissimo in quello che fa, non c’è mai il desiderio del male, ma solo la spinta, per me, a cercare di fare altrettanto bene, o almeno meglio di così.

Per me l’invidia è una specie di innamoramento.

Grazie ad Annalena Benini per averci dedicato il suo tempo, è stato un piacere averti come nostra ospite.

Dalla mia recensione di cui vi lascio il link: I racconti delle donne di Annalena Benini

Le donne sono madri; scrittrici; grandi e argute osservatrici; sono cattive; sono invidiose; sono piccole e sono giganti. Alcune hanno la vena umoristica che svela le crepe del perbenismo e delle regole sociali, molte si sentono mostri ma non riescono a non esserlo.

Alcune fantasticano di argomenti che vengono giudicate inappropriati come lo stupro.

Eh sì, anche noi possiamo farlo e siamo donne. Non è incredibile?

Alla presentazione di cui vi accennavo, ascoltavo la voce della curatrice della raccolta e ho capito che dovevo conoscere queste donne. Dovevo vedere fino a dove si sarebbero spinte nel mostrare la verità.