Contest Amarcord

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Notte. Un temporale imperversava già da qualche parte lontano. Forse nemmeno così lontano. I tuoni erano suoni attutiti dalla distanza che si faceva sempre più breve. Lampi di luce si susseguivano nel cielo nero di nubi, creando fasci d’illuminazione che penetravano nella mia stanza attraverso le piccole fessure della tapparella, lasciata volutamente un poco sollevata. Ombre scure venivano proiettate deformate sulle pareti e sul soffitto, simili a bocche di lupi famelici e di mani spaventose. Il vento si abbatteva feroce sulla finestra, producendo una corrente d’aria impietosa e ululante che pareva rendere ancora più reali le forme abbarbicate sui muri.
Prendere sonno pareva impossibile, in quel temporale privo di pioggia, ma, senza rendermi conto di come o quando, scivolai tra le braccia di Morfeo. La guerra tra quelli che avevano tutta l’aria di essere Dei nordici, guidati da un Thor inferocito, proseguiva là fuori, mentre un’altra lotta si prendeva gioco di me, partendo dal cuore, infettando il respiro e arrivando alla mente, inquieta e ottenebrata da incubi.
Mi svegliai all’improvviso, mettendomi a sedere e asciugandomi il sudore dalla fronte. Non conservavo ricordo di quella guerra notturna. Rimaneva solo un senso di angoscia. Scesi dal letto, avvicinandomi alla finestra. Alzai lentamente tutta la tapparella. Il cielo era a tratti illuminato a giorno, rivelando dettagli del mondo esterno pressoché invisibili nel buio della notte. Mancava la luna, mancavano le stelle. Ma c’erano i lampi a portare luce. Una luce magica, attraente tanto quanto spaventoso era il suo fragore. A ogni tuono il cuore martellava nel petto. Esplosioni e giochi di luce bianca, a tratti violacea. Era come assistere a uno spettacolo di fuochi artificiali, ma infinitamente più affascinante e maestoso.
Rimasi a osservare, fino a percepire sul viso piccole gocce di umidità portate dal forte vento. Lenta, dolce come un debole pianto, la pioggia cominciava a cadere. In breve tempo si sarebbe trasformata in un acquazzone, un torrente di acqua che avrebbe alleggerito l’aria, scaricandone la tensione, purificandola.
Distesi un braccio oltre il davanzale, alla ricerca di quella stessa limpidezza che ogni singola goccia sembrava contenere. Minuscoli aghi gelati si conficcavano nella pelle, donando ristoro e sollievo.
Un altro lampo apparve, improvviso come i fari di un auto di cui non si è udito l’arrivo. Il tuono che ne seguì mi fece indietreggiare, fino a sbattere contro il letto, mentre uno dei rami più alti del pino davanti a me si abbatteva a terra con un rumore secco. Ci volle un po’ perché la mia testa rielaborasse l’immagine di quel fulmine precipitato davanti ai miei occhi. Tornai alla finestra. Aveva cominciato a piovere forte. Guardai in basso, verso quel ramo spezzato che giaceva immobile sotto la pioggia, vittima di qualcosa di più forte di lui. Lo osservai per qualche minuto, prima di chiudere, tornare a letto e riaddormentarmi. Nelle orecchie ancora il fragore del tuono e di quel ramo abbandonato a se stesso. Davanti agli occhi, la luce biancastra che aveva attraversato il cielo sfidando la pioggia.

Chiara Minutillo