“Il prossimo inverno” di Serena Pontoriero
Giaccio. Dall’alto della collina sulla quale mi trovo, osservo il paesaggio sottostante. È magnifico. La primavera è da poco iniziata e la natura rinasce.
Su una delle colline sottostanti, una foresta di pini marittimi troneggia. Esposta a sud, le ombre si accorciano a vista d’occhio.
L’ombrello verde non proteggerà ancora a lungo i cespugli sottostanti che si preparano alla calura di mezzogiorno modellando le loro foglie.
Quando i pini saranno troppo vicini al sole, prenderanno il cambio nel proteggere il minuzioso lavoro delle formiche che stanno già raccogliendo gli aghi caduti.
Dal canto loro, le cicale cantano, come vuole la storia. La loro canzone parla del sole, dei bambini che presto verranno a raccogliere le more, dei fiorellini bianchi si trasformeranno in deliziose pesche gialle.
Indisturbate, nonostante il ronzio delle api, delle giunchiglie bianche e arancioni seguono, soavi, il movimento della leggera brezza marina.
Il profumo di un tiglio solletica i sensi. E’ lontano, ma la sua maestosità non passa inosservata. Accanto ad esso, una vigna scivola giù verso il mare.
Gli acini, sono ancora giallognoli e, da lontano, non si distinguono dal verde chiaro delle foglie. I punti neri che si vedono qui e lì saranno degli acini prematuri o l’opera di un bruco?
Una libellula appena visibile mi passa accanto. Le sue ali scintillano come le increspature dell’acqua del mare in cui branchi di orate lucenti formano nuvole argentee.
Ora capisco perché hanno voluto seppellirmi qui.