Elizabeth Smith Miller – la donna che inventò i pantaloni
Elizabeth Smith Miller: oggi un nome sconosciuto. Eppure questa coraggiosa signora è la responsabile di un grande passo avanti nell’emancipazione femminile, perché, anche se non fu propriamente la donna che inventò i pantaloni, fu la prima a favorirne l’utilizzo da parte delle donne.
Ecco la storia di come Elizabeth Smith Miller, Amelia Bloomer e una rivista cambiarono per sempre l’abbigliamento femminile.
Il pantalone è solo per veri uomini!!!
Il pantalone non è che gli uomini lo indossano da molto tempo, anche se nel nostro immaginario è sempre stato l’uomo a indossare i pantaloni: dobbiamo il vero sviluppo di questo dopo d’abbigliamento a un personaggio chiave della storia della moda: Lord “Beau” Brummell, che nell’Inghilterra della Reggenza, quando i signori indossavano ancora ridicolissime brache aderenti e corte al ginocchio, fu il primo ad allungare la gamba, a rendere i tessuti più morbidi e a farsi invidiare da amici e nemici per la singolarità e per il successo del suo personalissimo stile: il dandy, ossia l’umo elegante, che cura ogni aspetto del proprio stile nei particolari, nasce con lui, proprio come il pantalone che dall’800 arriva a oggi, con variazioni minime.
Come andò che le donne portarono i pantaloni.
Le donne, fino alla metà dell’800, non sono proprio mai sognate di fare loro questo capo d’abbigliamento maschile… anzi, no: proprio come in un romanzo di qualche anno, fa, il motto di molte era “volevo i pantaloni”, inteso come un progressivo bisogno di esprimersi, di trovare una strada nella vita che non fosse solo quella dal focolare alla nursery, di accedere agli studi preclusi al gentil sesso, come quelli medici e scientifici in generale, e il pantalone diventò per alcune di loro l’unico strumento di emancipazione possibile. Indossato insieme a una falsa identità maschile, ha permesso ad alcune donne, dall’antichità a oggi, di svolgere attività e ruoli rigorosamente da maschietti: fra le celebri donne in pantaloni annoveriamo Giovanna d’Arco, il celebre Dottor Barry (si scoprì trattarsi di una donna solo dopo la sua morte), e le tante coraggiose che durante la guerra civile americana si infilarono una divisa per combattere.
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Il suffragio femminile e i pantaloni
Che legame esiste fra il pantalone e il suffragio femminile? In apparenza alcuno, ma nella realtà molti.
Fino all’epoca vittoriana, parliamo perciò dagli anni’30 alla fine dell’800, il mondo femminile cambia radicalmente.
Si può credere che l’ascesa al trono di una regina carismatica come Vittoria abbia contribuito a liberare le donne dai cliché a cui erano soggette, ma in effetti è andata esattamente all’opposto: La regina Vittoria, conservatrice fino al midollo, ha mostrato agli inglesi e al mondo un modello famigliare estremamente saldo, ha portato avanti con le proprie idee una concreta spinta alla divisione dei ruoli in base al sesso: lei era regina, imperatrice, ma era anche una donna convinta che le altre donne dovessero essere angeli del focolare, e che a ognuno spettasse un compito ben preciso in famiglia.
Se le leggi sociali si moltiplicavano, per far fronte ai mutamenti vorticosi della società, il diritto di famiglia non era altrettanto rapido a rendere alle donne maggiore indipendenza.
Le donne non avevano controllo sul loro patrimonio, né sui soldi di famiglia; il divorzio era considerato disdicevole (un vero suicidio sociale), il marito aveva diritto sulla moglie quasi totali.
Le donne, poi, non potevano votare, e senza accesso al voto, non potevano cambiare le cose e far sentire la loro voce.
La moda vittoriana
La moda vittoriana ricalcava e rifletteva questa visione della femminilità: le donne erano letteralmente “ingabbiate” in corsetti soffocanti, in gonne sempre più ingombranti, scomode e inibenti la libertà di movimento. La donna è “angelo del focolare”, è “generale di casa” ma tutto il suo valore è proiezione di altri, del padre, del marito, dei figli maschi: il suo potere lo esercita nella misura in cui può influenzare loro a proprio vantaggio.
La donna non ha bisogno di voto, se ha un marito: egli sa meglio di lei ciò che è bene votare. D’altra parte, alle donne è anche negata l’istruzione in settori specifici: la cultura classica, per esempio, è privilegio delle fanciulle che crescono in famiglie molto attente all’istruzione, ma considerata “pericolosa” nelle mani di una donna, perché le mette troppe idee nella testa. Per il resto, alle signore è chiesto principalmente di essere belle, accoglienti, padrone di casa che possano sostenere la carriera e la vita sociale del capo famiglia. Chi esce dagli schemi rischia di essere tacciata di “isteria”, e se insiste, magari anche pazzia.
Elizabeth Smith Miller
Elizabeth Smith Miller (1822-1911), nota come “Libby”, era una sostenitrice e sostenitrice finanziaria americana del movimento per i diritti delle donne.
Alla terza Convention nazionale per i diritti delle donne svoltasi a Syracuse, New York, Smith Miller fu l’autrice di una mozione per creare organizzazioni per i diritti delle donne con base statale quando la mozione per creare un’organizzazione nazionale fallì. Insieme a Elizabeth Cady Stanton e Susan B. Anthony fu fondatrice della National Woman Suffrage Association americana.
Si occupò come autrice di una biografia del padre, filantropo e abolizionista. La sua seconda opera, scritta nel 1875 fu invece… un trattato di economia domestica, In cucina!
La riforma dell’abbigliamento e Elizabeth Smith Miller
La riforma dell’abbigliamento era l’obbiettivo di un movimento legato a quello delle suffragette, il movimento razionale dell’abito ed ebbe inizio a partire da metà epoca vittoriana, dopo gli anni ’60 dell’800, quando l’abbigliamento femminile raggiunse il culmine della sua opulenza. I riformatori proponevano stili diversi, ma tutti indirizzati a rendere gli abiti considerati più pratici e confortevoli rispetto alle mode del tempo.
A portare avanti questa campagna erano in gran parte donne della classe media (sia in Inghilterra che negli Stati Uniti) coinvolte nella prima ondata di femminismo nel mondo occidentale, dal 1850 al 1890. Il movimento emerse, negli stati Uniti, insieme ad altre propagande, fra cui quella del movimento della temperanza (guerra all’abuso di alcol) dell’educazione e del suffragio femminile e della purezza morale.
Cambiare stile di vestiario era una forma di grande emancipazione: non solo dalla scomodità, ma alla morale comune.
Elizabeth Smith Miller fu una forte sostenitrice della riforma dell’abbigliamento e fu la prima a indossare i pantaloni alla tirca e la gonna al ginocchio, poi resa popolare da Amelia Bloomer in The Lily.
La riforma dell’abbigliamento intimo.
Anche l’intimo doveva subite grandi modifiche, a partire dalla forma dei corsetti e delle sottogonne.
La riforma dell’abbigliamento era essenziale per liberare le donne dai vincoli funzionali imposti alle loro attività da convenzioni che rafforzano una società dominata dagli uomini.
I bloomers, Elizabeth Smith Miller e Amelia Bloomer
I “Bloomers” sono stati indossati dai leader del movimento per i diritti delle donne come un atto di ribellione fino a quando la quantità di attenzione che la protesta ha ricevuto sulla stampa popolare è diventata una distrazione dal movimento.
I Bloomers, chiamati anche Bloomer, Abito turco, Abito americano, o semplicemente abito da riforma, sono stati i primi pantaloni a essere indossati dalle donne. Sono stati sviluppati nel XIX proprio dalle riformiste americane e prendono il nome da Amelia Bloomer, direttrice della rivista femminista The Lily, nella quale comparvero le prime campagne a favore del pantalone da donna che lo diffuse e lo rese celebre.
Il nuovo bisogno di movimento
Non solo per poter essere più comode, ma anche per far fronte alla nuova vita moderna, nella quale sempre più spesso la bicicletta si affianca ad altri mezzi di trasporto. L’abbigliamento da cavallerizza, adatto solo alle signore e non certo alle donne che lavorano, ormai diffuse in diverse classi sociali, sta passando di moda, mentre l’attività fisica acquisisce sempre maggior peso nella vita anche femminile.
A fine secolo, le campagne contro il corsetto costrittivo sono numerose e nascono i busti elastici. Per veder tramontare la moda che chiude in gabbia le donne bisognerà però aspettare la grande guerra, e ancora di più, il dopoguerra, nel quale anche le gonne delle più tradizionaliste cominciano ad accorciarsi.
La lunga strada di Elizabeth Smith Miller e dei pantaloni da donna
Il movimento delle suffragiste, tuttavia, portò avanti la campagna del pantalone con fin eccessiva foga, e il capo d’abbigliamento divenne per gli oppositori il simbolo di una femminilità ridicola e da ridicolizzare.
The Atlantic riportò che quando Elizabeth Smith Miller e la cugina Elizabeth Cady Stanton si recarono a Seneca Falls vicino New York indossando i Bloomers, ebbero una brutta avventura, prese di mira da frotte di ragazzini urlanti e canzonatori, osservate dalle finestre con riprovazione da parte di tutti gli abitanti della zona.
http://losbuffo.com/2018/03/26/i-pantaloni-da-donna-breve-storia-di-una-lunga-battaglia/
https://www.elle.com/it/magazine/storie-di-donne/a27998824/pantaloni-suffragette-storia-bloomers/