“Diavoli custodi” di Erri De Luca e Alessandro Mendini
Recensione di Mirella Morelli
Non possiamo definire Diavoli custodi un esperimento, poichè gli autori sono due personalità del calibro dello scrittore Erri de Luca e dell’Artista Alessandro Mendini.
In presenza di siffatte personalità possiamo parlare di connubio, o di evento letterario, e allora tutto si fa chiaro.
Me li immagino, quei due! Che tutto prendono sul serio, anche un gioco.
Che rendono complice un ragazzino dislessico, Pietro, e – meraviglioso trio – riescono a dileggiare anche un problema duro quale la dislessia.
Perchè tutto nasce dai disegni di una serie di mostri sorprendenti e insieme minacciosi, quei disegni che sono nella mente di Pietro e che trasferendosi sulla pagina finalmente si liberano, o imprigionano, fate voi!
Trentasei mostri, trentasei disegni, trentasei racconti.
Avete idea di che bel cerchio?
A sinistra c’è un’illustrazione, e sulla pagina di destra c’è un racconto che da essa ha origine, proprio come si faceva un tempo nel gioco delle traduzioni: a sinistra il testo originale, a destra l’opera del traduttore;
e in cima a tutto questo, l’Idea di un ragazzo che combatte i suoi mostri, come tutti facciamo.
“L’immagine e la scrittura quando vanno assieme si affrontano.
L’immagine, che ha più vasta platea, dispone la scrittura a sua didascalia.
La scrittura invece vuole che l’immagine sia a sua illustrazione.
In questa occasione sono sospese le ostilità.
Qui l’immagine ha la precedenza e da lei ha origine la pagina di destra.”
Un dialogo di segni e di parole, fitto fitto, alla ricerca di un senso per ogni nostra paura, ogni nostro timore nato nell’infanzia e mai più lasciato: perché, sappiatelo, se siamo certi che esiste un angelo custode, per ognuno di noi è ancora più certo che esistano de veri “diavoli custodi” delle nostre “mostruosità terrestri”:
“Un bambino dislessico disegna minuziosamente pagine di mostri. Metterli in una forma li riduce di immensità, di intensità e di di angoscia.
Il foglio coi suoi bordi li imprigiona. Più nitidi sono, più stanno domati.”
E così fa lo stesso De Luca, traducendo in parole quelle che sono le sue (le nostre?) paure.
Trentasei racconti fatti di riflessioni, concetti, prosa lirica ed elucubrazioni non sempre facili da seguire – come non è sempre facile seguire il percorso dei nostri incubi, e lo dimostrano gli stessi disegni di Alessandro Mendini, fatti di righe fitte e intricate come labirinti.
Trentasei episodi che rinviano all’infanzia e ai nostri demoni, custoditi con cura nell’età adulta, in vecchiaia, insomma come parte immarcescibile di noi stessi.
Diavoli custodi è questo: un incontro a tema sulle nostre paure che quasi ci teniamo care, perché quel filo d’Arianna ci guidi dall’infanzia all’età adulta, in tutta la nostra esistenza, senza perdere il filo di noi stessi e del “Chi siamo?” che sempre ci accompagna, fino alla fine.
Uno scrittore partenopeo non può che iniziare con una paura: il terremoto, letterariamente condito in più racconti con il Vesuvio a oriente e i Campi Flegrei a occidente.
Napoli, il suo sottosuolo. La Napoli sotterranea comporta considerazioni sul salire e scendere, metaforicamente:
“ Non è arrivo la cima, è il capolinea del viaggio di ritorno da una sfiorata altezza(…)
In discesa si guarda il vuoto in faccia. (…)
Il primo passo in discesa è strappo, forte come quello di due che si lasciano al binario. (…)
Ognuno scende da un abbraccio, da un’età, da un viaggio. Ecco qui il primo passo, a testa bassa, per non inciampare.”
E per chi ama Erri De Luca, in queste frasi, c’è tutta la sua filosofia dell’arrampicata, della montagna, di quel magnifico canto dell’Uomo che sfida se stesso e la Natura ne Il peso della farfalla, libro che me lo ha reso caro.
E così man mano sfilano i racconti e sfilano i timori – ma definiamoli pure orrori moderni, allorché si parla di Lampedusa e degli sbarchi e dei morti in mare:
“À l’aurore, armés d’une ardente patience, nous entrerons aux splendides villes.
Rimbaud in Una stagione all’inferno… Mi passava come un’ape intorno il verso di Rimbud mentre costeggiavo a piedi l’isola di Lampedusa.”
Ogni tratto del disegno di Mendini suscita una riflessione, un ricordo, una via su ciò che fa o ha fatto male:
così un’etichetta di vino, che l’Autore ha abitudine di incollare alle piastrelle della propria cucina dopo averla bevuta in compagnia, fa tornare alla mente serate intorno a un tavolo con persone che non sono più:
“Intorno alla mia tavola tornano a brillare per effetto del buio e del fuoco acceso nel camino”
ma che popolano ancora la nostra mente.
E poi la fame, la guerra, lo spreco.
E poi ancora la nostra Ombra, l’Udito, lo Sguardo: quanto sono importanti i nostri sensi, i loro limiti, la loro perdita; quanto timore della nostra fisicità e della sua caducità rispetto all’Eternità cui aneliamo…
“Il tracciato di un elettrocardiogramma disegna a picchi e onde increspate il battito del cuore.
L’inchiostro scende nei chilometri del circolo sanguigno fino ai vicoli ciechi dei capillari minimi.”
Il nostro più profondo sentire è scandagliato attraverso percorsi non prevedibili.
Il libro si conclude con un racconto sulla indifferenza. Cosa di peggio, del mostro dell’Indifferenza?
“Torno sul significato personale dell’indifferenza: non riconoscere la differenza tra falso e vero, tra realtà e finzione.
Si assiste perciò a una violenza, a un sopruso, a un atto incivile e si resta a guardare.”
In tutto questo, spiragli dell’Erri de Luca che conosciamo e che ci rassicura: riferimenti biblici, cultura yiddish (Abramo e Isacco, o anche quel terrificante unico occhio triangolare divino) e intimamente proprie (“Non ho visto la nudità di mio padre e di mia madre. Le ho dovute conoscere nella loro morte”).
Non so se questo libro sia uno dei migliori di Erri De Luca, ma di sicuro ha un compito: spinge noi lettori a riflettere non su ciò che ci racconta, ma su ciò che siamo. Al termine dell’elenco dei suoi mostri siamo portati a chiederci quali siano i nostri.
Si torna bambini, ma allo stesso tempo ci ci rassicura considerando che se i mostri che temevamo sono ancora gli stessi, forse, anzi sicuramente, il nostro filo di Arianna non è stato tagliato.
Uscire dal labirinto, alla fine, specciandoci in noi stessi, immutati.
E, perché no, vincitori.
Sinossi
Dall’incontro di due personalità eccezionali nasce un libro unico e prezioso, che affianca a trentasei racconti di Erri De Luca altrettanti disegni (in bianco e nero e a colori) dell’artista Alessandro Mendini.
Un duetto che rimanda a una nostra tradizione forte – basti pensare al connubio fra Rodari e Munari – e che qui comincia sempre con un’illustrazione, da cui poi il racconto prende liberamente l’abbrivio.
“Quello che scrivo,” dice De Luca, “dipende dal riflesso di uno che è preso alla sprovvista.” E a stupire, a spiazzare sono quei disegni che fanno spalancare gli occhi come uno strappo nel cielo, fanno sentire nudi “come quei due nel primo giardino, dopo l’assaggio scippato dall’albero della conoscenza”, perché “la suggestione è una manifestazione della verità”.
Erri De Luca e Alessandro Mendini iniziano quasi per gioco – ispirandosi ai disegni di un bambino caro a entrambi – e poi via via stabiliscono fra loro un dialogo di forme e parole serrato e ricco di senso, tracciano sulla pagina le proprie paure, le tentazioni, le fiere ostinazioni, e tutto un vivace campionario di “mostruosità terrestri”.
Compongono dunque un libro di eroismi quotidiani che scandaglia, attraverso percorsi tutt’altro che logici e prevedibili, il nostro più profondo sentire: facendoci avvertire il fiato dei mostri dietro le nostre spalle e al contempo consegnandoci le chiavi del serraglio dentro cui tenerli a bada.