“Confessione” di Anonima
Si, Signor Giudice, confesso. Sono colpevole. Mi giudichi pure, se vorrà, tanto la mia condanna la sto già vivendo, giorno dopo giorno, da tutta la vita.
Si, Signor Giudice, ha ragione, forse avrei dovuto non andarci in quella casa. Alla mia età forse avrei dovuto intuire che qualcosa non stava girando per il verso giusto quando ho visto quella strana polverina bianca. Io che non ho mai neanche fumato. Io, la brava studentessa che ha sempre riaccompagnato gli amici a casa dopo le loro piccole trasgressioni fatte di spinelli e birra. Avrei dovuto capire che quella polverina era roba seria e che le conseguenze per chi la stava assumendo davanti ai miei occhi increduli sarebbero state molto più devastanti del previsto.
Si, Signor Giudice, ci sono andata di mia volontà. E me ne assumo tutta la responsabilità, come di ogni scelta che ho preso o che non ho preso nella mia vita. Ma sa, dopo così tanti anni di negazione e solitudine ci si può illudere molto facilmente quando qualcuno ti dice “Ti amo”. Avevo bisogno di gridare a me stessa che ero degna di essere amata anch’io. Su, non faccia il moralista, non si può vivere tutta la vita facendo finta di essere qualcos’altro. Questo lo capisce anche lei, vero, Signor Giudice?
Si, signor Giudice, ho ringraziato Dio, pur non essendo credente, perché nell’assurdità della storia poteva andarmi molto peggio. Potevo prendermi una coltellata o trovarmi con la testa fracassata, chissà, non oso neanche immaginare fin dove possa arrivare il male umano.
Si, signor Giudice, quando ero lì sotto, sdraiata e ho sentito il peso del suo corpo sul mio e ho visto il suo sguardo assente e furioso ho avuto paura. Sono stata sbattuta contro l’armadio e mi sanguinava un dito, mi è stato strappato il cellulare di mano, mentre il mio braccio destro, che usavo a mo’ di scudo, era già pieno di lividi. Mi sono salvata solo perché ero più alta io e ho reagito. L’unica cosa che sapevo di non potermi permettere era di farmi prendere dal panico. Ho reagito difendendomi, con lucida rabbia.
Si, signor Giudice, tutta questa storia non ha alcun senso. Peccato che sia tutto vero, anche se preferisce non crederci. “Ma insomma dove mai si è sentito che una donna venga malmenata da un’altra donna? Che storia è mai questa!”. Eppure le posso assicurare sulla mia pelle che il male non ha genere. Le dico che la violenza è un virus che può infettare chiunque, e che solo vivendo certe esperienze al limite dell’abisso te ne rendi davvero conto.
Si, signor Giudice, confesso, sono colpevole. Come si può essere colpevoli di aver fatto scelte che mi hanno condannata alla solitudine per così tanto tempo. Come si può essere colpevoli di reclamare solo amore, sincerità, rispetto.
E allora mi condanni, Signor Giudice! Sono disposta a scontare la mia condanna con tutta me stessa. Mi condanni a ricominciare ad aver fiducia. Mi condanni ad abbattere i possenti muri che ho innalzato intorno a me. Mi infligga quella dolce condanna troppo a lungo negata, avere ancora una volta il coraggio di amare.
struggente….