“Cime tempestose” di Emily Brontë
Recensione di Emma Fenu
Cime tempestose (Wuthering Heights) è il solo romanzo di Emily Brontë la quale, dopo averlo scritto fra il 1845 e 1846, lo fece pubblicare nel 1847, con lo pseudonimo di Ellis Bell.
Soffia il vento sulla brughiera.
Vento di vendetta, di ossessione, di passione.
Vento gelido o bruciante, vento di neve o di sabbia infuocata.
Due giovani corrono e si rincorrono, sormontati da monti e da un edificio. Corrono fino a diventare adulti.
Sembrano due. Sono uno.
Hanno la stessa anima, dimidiata in due corpi.
Vivono in non-tempo, dove la morale non c’è.
È il tempo eterno del mito, in cui Ade e Apollo dormono ancora.
In cui non c’è Natale né Pasqua, perché nessun Cristo è divenuto uomo e tutti sono crocifissi.
Cime tempestose racconta, in modo simmetrico, una storia duplice giocata sempre sullo scontro e sulla attrazione fatale fra gli opposti.
Due sono le tenute, due le famiglie, due le generazioni, due le coppie di fratelli.
Siamo nell’equilibrio che precede la vita, generata dal caos, come in un mito cosmogonico.
Sarà Heathcliff a compiere l’hybris, a mangiare la mela, a uccidere la metaforica figura del padre. Sarà Heathcliff a infrangere l’equilibrio per far nascere il presente umano.
La vicenda inizia ad essere narrata quasi nel momento dell’epilogo, tramite uno stratagemma narrativo molto avvincente, ossia il racconto di una governante che, nel narrare ad un affittuario Heathcliff, condurrà ogni lettore nell’intricato succedersi di avvenimenti.
Siamo nello Yorkshire, in Inghilterra, fra la fine del Settecento e i primi anni dell’Ottocento.
Il signor Earnshaw, padrone della tenuta chiamata Cime Tempestose, conduce con sé un orfanello, Heathcliff, di stirpe zingara. Il ragazzo, dal forte temperamento, susciterà l’invidia del primogenito, Hindley, e l’attrazione, corrisposta, dell’altra figlia, Catherine.
Ma la fanciulla, sceglie di sposare Edgar Linton, abitante della tenuta confinante, Thrushcross Grange, in quanto il ragazzo è più affine a lei per ceto sociale e condizione economica.
In reazione al rifiuto e all’onta subita, Heathcliff si logorerà nella sola vendetta non solo verso l’amata, ma verso tutte le generazioni che da essa avranno origine o che con essa saranno legate, operandosi per manipolare animi, portarli alla devastazione e privarli di beni e di dignità.
La colpa di Catherine, come una maledizione, ricadrà su padri, su figli, su fratelli, su cugini e perfino sul proprio aguzzino.
È la stessa colpa, che scorre nel sangue, che ritroviamo come leitmotiv nei romanzi di Grazia Deledda.
Colpa da espiare, perché così è scritto dagli dei, dal Fato o da Dio, in nome di un progetto nel quale l’uomo non è destinato ad altro che a piegarsi, in attesa di catarsi.
L’ambientazione topografica della Brontë presenta caratteri similari con quelli della scrittrice sarda: nonostante le due donne descrivano territori lontani e peculiari, esse vogliono creare un palcoscenico teatrale nel quale mettere in scena l’arcaico mito che consuma l’umanità tutta, condannata a ripercorrere gli stessi percorsi.
In Cime tempestose si aggiungono, a differenza delle opere della Deledda, alcuni elementi della narrativa gotica, quali incubi, tempeste, fantasmi, cimiteri, tombe e cadaveri, che conferiscono un carattere ancora più angoscioso e angosciante alla narrazione.
Come in una tragedia greca, dunque, la storia prende avvio da una situazione di pace perfetta, in cui le forze del bene e del male sono in equilibrio.
L’infrazione del divieto, ossia l’amore fra gli esponenti dei due principi antagonisti, crea una frattura dello status quo che solo il sangue può purificare, fino a quando Bene e Male non giungeranno a fondersi e confondersi, generando il mondo, sintesi e convivenza di luce e ombra.
Siamo alle prese con una storia d’amore? No.
Non è certo saggio decontestualizzare un’opera letteraria figlia non solo del proprio tempo, ma anche della propria autrice, donna timida, solitaria, con un’infanzia e una giovinezza segnata da profondi lutti.
Tuttavia, i classici non sono, per definizione, la più celebre quella offerta da Calvino, espressioni letterarie ed umane vincolate ad un preciso contesto storico, ma si fanno interpreti dell’uomo nella sua dimensione universale.
Cime Tempestose racconta ossessioni, pulsioni istintive e incontrollate, psicosi, deviazioni, amoralità, incomunicabilità, furia distruttrice.
Racconta l’uomo e la donna insinuandosi nel segreto profondo dell’animo, dove la tempesta di emozioni partorisce mostri che si nutrono di vendetta e di odio.
Emily Brontë mette il nero odio in scena, con coraggio, consapevole che solo conoscendo il male, e le conseguenze che esso porta con sé, possiamo aspirare ad un mondo migliore, quello del futuro, in cui il lupo e l’agnello correranno insieme, nella brughiera infinita della nostra Storia.