“Una morte sola non basta” di Daniela Alibrandi
recensione di Emma Fenu
Una morte sola non basta è un romanzo di Daniela Alibrandi edito da Del Vecchio nel 2016.
Non è una storia per tutti, questa.
C’è male estremo, male senza confini, male senza pietà.
Una morte sola, tuttavia, non basta ad uccidere il lettore che, dopo l’epilogo tragico di un testo drammatico, si scopre vivo e consapevole che ci sono vicende che non dovrebbero esistere ma che hanno ragione di essere narrate.
Perchè una falsa verità non basta a fare di questo mondo un posto migliore.
Michela e Ilaria intrecciano i propri destini fin da bambine, confondendo i percorsi delle reciproche favole nere.
Cappuccetto rosso è torturata dalle sorellastre.
Cenerentola è sbranata dal lupo.
Entrambe si perdono e si ritrovano in un bosco ma, per salvare l’amica, una dovrà sacrificarsi.
La vita di una per il riscatto dell’altra.
In una Roma che, nel corso di un ventennio, dagli anni ’50 agli anni ’70, si trasforma, costruendo con le macerie delle guerre un grattacielo di liberismo e emancipazione, si consuma l’orrore a carico di due creature innocenti.
Storie minime, chiuse fra le mura di appartamenti come tanti.
Urla nella notte, soffocate in un cuscino.
Orchi e streghe a infilzare con il fuso principesse che dall’incubo non possono svegliarsi, rese orfane di sogni e sterili di progetti.
Una morte sola non basta per i carnefici: devono espiare nella sofferenza l’hybris commessa.
Una morte sola non basta nemmeno per le vittime: l’anima si invola anche quando il corpo c’è ancora, stremato e disperatamente vivo.
Non è una storia per tutti, questa.
Non regala sonni tranquilli, non consola, non edulcora. La parola si fa nuda, violata e violentatrice, perchè una morte sola non basta, bisogna celebrarla nel ricordo, infinite volte.
Ma vi invito ad avere coraggio.
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Sinossi
Roma, anni Cinquanta.
L’Italia si sta lasciando alle spalle l’orrore della guerra, e si avvia a grandi passi verso gli anni del boom economico.
Due uomini si incontrano su una panchina dell’ospedale San Camillo.
Due storie si incrociano per pochi minuti per poi proseguire parallele e distanti.
Anni Settanta.
Il sogno del “miracolo italiano” lascia il passo alle contraddizioni e ai fermenti della rivoluzione sociale e dei movimenti giovanili.
Due ragazze, poco più che adolescenti, si conoscono.
Segnate, ognuna a sua modo, dalla violenza e dal silenzio di chi avrebbe dovuto proteggerle, continuano a collezionare errori e profonde delusioni.
Nell’amicizia che si instaura, riconoscono entrambe la possibilità di un reciproco riscatto, che porterà a un epilogo imprevedibile.
Sullo sfondo, si staglia la città eterna in continuo mutamento, che con le sue atmosfere e i suoi linguaggi commenta le fragilità e le contraddizioni di un’intera epoca e del Belpaese.
In una narrazione limpida, senza artifici, che si sviluppa in un crescendo ininterrotto, seguiamo Ilaria e Michela in un impietoso viaggio alla scoperta della costruzione del male, che nulla concede all’ipocrisia o all’ipotesi d’innocenza.