“Racconti di straordinaria quotidianità. In viaggio attraverso i ricordi” di Chiara Dall’Ara

Recensione di Ilaria Biondi

Chiara Dall'Ara

Sono da poco rientrata da una passeggiata odorosa d’autunno.

Nel folto di un sentiero che sgrana, pigro, le sue dolci e care sfumature di giorni brevi.

Ora sono china sul libro di Chiara Dall’Ara.

E con lo sguardo ringrazio la carezza segreta delle parole che, attraverso le pagine, dipingono silenzi, bagliori, respiri, bufere, ombre polverose, volo di luce.

Di una stagione. La sua stagione.

Gonfia di tinte e di profumi.

Di foglie ruvide e rami scarniti.

Di bacche pregne e turgide.

Di chiome ancora folte, che si offrono ostinate al tramonto.

Di fili d’erba goccianti verde e lacrime di brina.

Leggo Chiara Dall’Ara.

E nel movimento aggraziato e limpido delle sue frasi ritrovo il tepore sommesso, la voce calda di sottile malinconia, l’abbraccio nudo di gracile tristezza, il tormento dolente, la quiete di luce e la curva di gioia viva di questo novembre.

Ed è come se i miei piedi stessero ancora calpestando, nel crepitio trasparente di questo pomeriggio placido, il peso lieve della terra coperta di foglie accartocciate…

La crosta dura di un ricordo di dolore.

Il pensiero bambino aggrappato a un giovane uomo e al sanguinare della sua anima.

Una spina aspra, nelle ore d’infanzia cullate dal battito di cuore di una quasi nonna.

Nelle sue braccia antiche, il profumo del tempo che non conosce oblio.

“Io mi affezionai sempre più ad Adele, stavo spesso presso di lei, mi aiutava a fare i compiti, a leggere, mi insegnava l’educazione. La accompagnavo ovunque, anche al mare alla pensione Tzigana di Cervia. Ero quasi più figlia sua che di mia mamma. A volte, di sera, scendevo giù per le scale e bussavo alla sua camera da letto. Dormivo con lei, come fosse mia nonna.”

La forza della memoria.

La promessa ardente delle radici.

Chiara Dall’Ara e la sua Cesena.

Figlia e madre.

Figlia che si abbandona, con stupore mai sazio, all’abbraccio avvolgente delle strade.

Dei vicoli.

Degli squarci di paesaggio.

E lì, in ogni pietra, in ogni anfratto celato ai più, ritrova il miracolo senza nome del proprio passato.

Della propria anima, che a quel ventre misterioso appartiene.

“Il periodo migliore per attraversare ad alta quota i tre spartiacque cittadini era la primavera, quando i colori lievi di peschi, albicocchi e ciliegi in fiore ammantano le colline. Un’esplosione di tinte calde, con gradazioni tendenti al rosa acceso, al cremisi, al madreperla. Una poesia per gli occhi, un incanto per l’anima!”

Le pagine si fanno specchio trasparente.

E raccolgono, miti e silenziose, gli spacchi di un cuore che ancora piange.

Di pensieri che si fanno inquieti, e sobbalzano smarriti.

La parola custodisce, muta, lo sguardo stanco di vita del padre.

Racchiude, con sincerità garbata, il dolore che buca l’anima.

Di una figlia che ancora sente sulla pelle del proprio amore il vuoto ruvido e secco di quegli occhi.

Di una tenebra che invischia giorni, ore, anni.

Spogliando il cielo giovane della luce delle stelle.

“Comincia qui, per me, il tempo sconsolato di mio padre, tempo dal quale non ne uscirà più, il tempo interminabile e raggelante della depressione. […]Un’infanzia serena che finisce malamente, con lo spettro della malattia mentale che aleggia sul nostro tetto, sui miei sogni di ragazzina ingenua.”

“Figlio che mi sorreggi

Partecipe del travaglio

Abbandona l’alacre stretta

Così da levare il mio soffio ineluttabile

Proteso verso l’infinito”

(dalla poesia “Lasciami andare – La morte di mio padre”)

Chiara Dall’Ara viaggia.

Nel proprio passato.

Abbandonandosi al passo chiaro dell’aurora.

E affrontando, con coraggio, le croci amare della lunga notte. Ancorata alla terra che l’ha partorita.

Ma ella viaggia anche nello spazio tortuoso dell’ignoto.

Ardita esploratrice di voci nuove e orizzonti remoti. Incapace di rinunciare al volo. Sorda alle parole di fango di chi si intana nelle proprie paure.

Rondine inquieta.

In perenne bilico tra il qui delle certezze quiete e l’altrove naufrago dell’infinito mondo.

“Partiamo con la curiosità dei bambini e almeno per sette giorni, lasceremo a casa la paura e la noia, aprendo la mente e il cuore alla sorprendente esperienza che solo il viaggio può donare.”

Chiara Dall’Ara, figlia. Chiara Dall’Ara, madre.

Una donna che ha attraversato il fango del buio.

E che lentamente, coraggiosamente, ha saputo ripulire le proprie ali.

Per librarsi, con la grazia di una foglia sfiorata dal vento, sulle pozze illividite del Dolore.

Il Dolore più grande. Innominabile.

Ritrovando un bocciolo di sole nei capricci appiccicosi del destino amaro.

Un corpo che conosce i cocci taglienti della sofferenza.

Un grembo, svuotato.

Piccoli giorni, negati. Vagiti derubati. Prima ancora di farsi nuova alba.

Altri piccoli giorni, a rincorrere la luce. A difendere il fragile duro guscio di una vita che non si arrende.

A danzare, per due.

Nell’aria invisibile di un segreto di farfalle.

Nel respiro di zaffiro di una memoria che sa. E non dimentica.

Nel soffio tenero di un abbraccio di quattro piccole mani. Che si cercano.

E misteriosamente si ritrovano. Negli squarci di luna dei sogni. Nel sorriso di stelle gemelle che solo loro  due conoscono…

“Ciottoli coricati in austeri terricci

Custodi di colei che esile sfumò

Bianche madreperle dall’anima gentile

Tappeto rifrangente di raggi evanescenti

Lasciate trapelare tra gli spiragli

La fervida indulgenza maternale

Acquietante carezza riscattata all’oblio”

(“Gemme sepolcrali – Sulla lapide di mia figlia Lucia”)

Chiara Dall’Ara si consegna a noi lettori.

Come seme che abbandona la sua nicchia protettiva, sotto la coltre di calda terra, per squarciare la gelida scorza della superficie, e venire al mondo.

Con nudità disarmante. Con pudore di petalo.

Affidando alle nostre mani il suo cammino di donna, figlia, madre. Che conserva, nella culla riposta del suo sentire, le corse, i lampi, gli incanti, i tremori dei lontani giorni bambini.

Un racconto autobiografico che sta sospeso tra la nota intima, il diario di viaggio e il racconto, non privo di bonaria e delicata ironia, di vicissitudini quotidiane dal tocco surreale (come solo la vita sa esserlo…).

Una memoria viva e partecipata. Del proprio tempo e del proprio spazio interiore.

Tempo e spazio che si allargano, che si aprono, che abbattono confini e barriere. Ad accogliere, con generoso slancio, le figure che hanno attraversato e attraversano la sua costellazione.

Il magma dell’anima si fa lacrima di sangue nei pezzi di dolente struggimento legati alla malattia del padre e al proprio calvario di madre.

Piaghe indomabili dell’io che Chiara Dall’Ara sa sublimare catarticamente non solo nel racconto, ma anche e soprattutto nelle parole levigate e intrise di grazia delle poesie.

Nell’ordito di memoria di Chiara diventano personaggi palpitanti non solo le persone care, o quelle che hanno fugacemente incrociato il suo passo, ma anche oggetti del vivere quotidiano, come la bicicletta, compagna fedele e agguerrita di intrepide esplorazioni.

Così come il mondo naturale o il paesaggio cittadino, dimore dell’anima, nido del cuore, con i quali la parola di Chiara Dall’Ara non si stanca di dialogare.

Instancabile viaggiatrice è Chiara. Che, con mano sapiente, sa condurci nel centro caldo dei propri ricordi. Al di qua delle proprie intime difese.

Lì, dove il cuore, inciso e tagliato, ha saputo ricomporsi, imparando di nuovo a pulsare.

Lì, dove l’anima ha varcato la soglia della notte per gemmare di luce, ancora.

“I fili brillanti di verde d’aprile

Ora, nel cuore di maggio son trasformati in alte spighe

Il biondo radioso si insinua, frapposto da ciuffi vermigli

Armonici profeti annuncianti la stagione gioiosa

Cardini pulsanti figuranti la mia identità”

(da “Col cuore in Romagna”)

Sinossi

Una giovane donna nella Cesena dei nostri anni, dal tempo dell’infanzia alla scoperta della maternità: appunto, la straordinaria quotidianità di chi rievoca i luoghi e le persone amate, i viaggi e le attese, le angosce e le gioie del vivere, lo svelamento del mondo e la scoperta di noi a noi stessi: un bel libro, tramato tra i luoghi della nostra vita (la città e la sua rocca, il Savio e il suo cammino, il mare e il sinuoso distendersi delle colline…) e tra la nostra gente, cui ride e piange la vita, come sempre, come ovunque.

Titolo: Racconti di straordinaria quotidianità. In viaggio attraverso i ricordi
Autore: Chiara Dall’Ara
Editore: Il Ponte Vecchio
Anno edizione: 2016
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