“Nato Vivo” di Erika Zerbini

Recensione di Francesca Gnemmi

copertina nato vivo

“Nato vivo” parole che i genitori non pronunciano ma gravano sul cuore come macigni.

Il portone è socchiuso, non occorre bussare. Forse dovrei farlo, un gesto di educazione, ma temo che quel suono rotto e solitario rimbombi nel silenzio di un animo lacerato e faccia più rumore di quanto possa sopportare.

Entro in punta di piedi e resto ferma in un angolo, nella speranza di rendermi invisibile, mentre parole scorrono a fiotti, vermiglie di sangue, nere di morte. Temo di essere di troppo tra le pagine, di non avere abbastanza riguardo e sensibilità verso le parole di Erika Zerbini.

Una donna forte che deve fare i conti con le proprie debolezze, una madre giusta che ha vissuto profonde ingiustizie, una mamma che ha scelto di mettersi a nudo e parlare di sé, abbracciando il dramma di molte altre donne. “Nato vivo”, un tema intimo e delicato, crudo.

Una storia che non si dovrebbe leggere perché ciò che è stato non dovrebbe accadere. Mai.

La Natura però non guarda in faccia a nessuno e avanza nel suo cammino prendendosi ciò che gli appartiene, senza che l’essere umano possa alcunché dinanzi al suo volere. Impietosa.

Un vissuto che non lascia spazio a congetture e giudizi, una storia urlata nel più rispettoso silenzio. Pensieri e stati d’animo, dubbi e paure. Una madre che perde il proprio figlio e che non vuole raccontare una vicenda ma un oceano di sensazioni e il susseguirsi di minuscoli e impercettibili passi compiuti nel solo intento di sopravvivere al torto peggiore che la vita può riservare. Un figlio che non è nato vivo.

“Perdere un figlio secondo me non rende migliori, così come si usa dire per trovare un valore positivo a qualcosa di tremendo, ma certamente rende diversi. Si cambia e non si torna più indietro.”

Grembo che diviene tomba, acque salmastre di un mare immobile. Olio vischioso, scuro petrolio. Nessuna onda, gentile culla di vita.

Panico, la paura quotidiana, folle, che il piccolo germe generato con amore muoia senza vedere la luce e che la linfa vitale si trasformi in veleno. Nessun antidoto. Nuda accettazione.

“Non vi sono scorciatoie. Questo dolore va affrontato per uscirne più forti, per trasformarlo in un’esperienza di vita per cui quel bambino nato morto diventi tuo figlio. E tu sia madre e suo padre, per sempre.”

Autore: Erika Zerbini
Titolo: Nato vivo
Genere: narrativa
Editore: PM edizioni
Anno pubblicazione: 2016
Pagine: 190

Sinossi

Senti come suona: mio figlio. Avrò un figlio, ho un figlio… ce l’ho dentro il mio grembo a sfregolare per la maggior parte del tempo. Ce l’ho, ma è ancora dentro e, visto che nessuno vede oltre la mia pancia prominente, non è vero che ce l’ho, ma ce l’avrò. Al più posso dire che sta arrivando. Qualcuno che arriva ancora non c’è, è in viaggio… non lo vediamo, ma lo aspettiamo. Non posso vedere ancora mio figlio, ma mi è talmente vicino che addirittura mi occupa. In realtà non aspetto che arrivi, ma solo che esca da me.

Qualche volta ci domandiamo che emozione sarà, se ci sarà dato di provarla, se sarà sano, se, se, se… E sarà un’emozione a cui non siamo del tutto preparati, direi che sarà più che altro una “sorpresa”. Ce la teniamo così, proprio come una sorpresa, addirittura inaspettata.

Scegliere di rimettersi in gioco non significa avere dimenticato o rimosso. A volte non significa nemmeno avere superato. Scegliere di rimettersi in gioco spesso significa cercare di “andare avanti”, senza permettere che la morte porti con sé anche tutto il resto della propria esistenza.

Un bambino nato vivo non cancella la morte, né allontana i demoni, solo rassicura su un fatto reale: i figli non sempre muoiono.

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