“L’idioma di Casilda Moreira”- di Adrián N. Bravi
Recensione di Giovanna Pandolfelli
L’idioma di Casilda Moreira, Exòrma edizioni 2019, è l’ultimo romanzo pubblicato da Adrián Bravi, scrittore argentino residente in Italia da molti anni.
Adrián Bravi si è da sempre confrontato con la questione linguistica, in particolare con il suo aspetto più intimo legato ai sentimenti e alla cultura che una lingua rappresenta per i suoi parlanti.
Avendo vissuto in prima persona l’esperienza della migrazione geografica, e di conseguenza culturale e linguistica, Adrián Bravi fa parte del crescente filone letterario che occupa sempre maggiore spazio nella letteratura italiana e che sta, a ragione, conquistando il suo posto all’interno del canone letterario. Si tratta della produzione letteraria di autori allofoni che hanno adottato l’italiano come loro lingua di comunicazione e di scrittura. Il fenomeno ha origini negli anni Novanta, laddove in altri Paesi europei aveva già preso piede come conseguenza dei flussi migratori precedenti dovuti anche alle antiche colonie e alle nuove forme di colonialismo effettuate da tali Stati. L’Italia, tradizionalmente Paese di emigrazione, diventa con un certo ritardo territorio di immigrazione, fenomeno che conta tra i suoi esiti anche quello prezioso dello scambio intellettuale e dell’apporto letterario da parte dei suoi protagonisti.
Il dibattito linguistico, come risultanza dei diversi aspetti psicologici e culturali, è un tema spesso affrontato da tale filone letterario e Adrián Bravi ne è una delle voci più significative.
Già nel suo saggio La gelosia delle lingue (edizioni Eum 2017) aveva a lungo disquisito sul conflitto interiore che comporta la vita tra due o più lingue e sui possibili percorsi di riconciliazione. Il solido background culturale dell’autore gli permette collegamenti trasversali a cavallo tra identità culturali diverse.
L’idioma di Casilda Moreira, che le edizioni Exòrma di Roma pubblicano con lungimiranza ed apertura alle novità nella collana “quisiscrivemale”, è un romanzo che sa di polvere della pampa argentina, di visi bruciati dal sole e solcati da antiche rughe, di distese infinite e di vite a stretto contatto con la natura.
Le descrizioni di Adrián Bravi hanno la potenza evocativa di immagini fotografiche, conducono il lettore nella vasta distesa della pianura, fatta più per i cavalli, sebbene introdotti solo dal conquistatore spagnolo, che per gli uomini che vi abitano, come egli stesso nota.
Le sue ambientazioni sanno di yerba mate bevuta con la bombilla e di piccoli villaggi sbattuti dal vento.
La trama vede protagonista un docente italiano di etnolinguistica e il suo fedele studente, dall’evocativo nome di Annibale Passamonti. Questi, incoraggiato dalle ricerche del professore, si mette sulle tracce degli ultimi due parlanti di una lingua indigena della pianura argentina, il günün a künä, antico idioma destinato ad estinguersi se non fosse che oggi un discendente dei tehuelches suoi parlanti se ne sta dedicando al recupero.
Tuttavia, l’espediente narrativo è estremamente originale: il giovane ricercatore si muove alla ricerca degli ultimi due rappresentanti di questa cultura, unici detentori dei suoni di un idioma antico da salvare all’oblio dell’evoluzione linguistico-culturale, minacciata da un fatto tanto comune quanto definitivo: Casilda, una volta promessa sposa di Bartolo, ormai tradita, si rifiuta di rivolgergli la parola.
Annibale Passamonti, come lo indica il nome, è tenace e coraggioso come un condottiero, e dimostra anche la scarsa sensibilità del conquistatore. Determinato a registrare una conversazione tra i due ultimi detentori dei suoni patagoni, non si cura di rispettare i delicati equilibri su cui si regge una piccola comunità sperduta nella pianura argentina. Ritenendo il suo un nobile intento al servizio della scienza, animato dall’entusiasmo della giovane età e dall’emozione della scoperta, Annibale penetra i segreti e il riserbo degli abitanti locali, sollevando quel velo che li ammantava, proteggendoli ciascuno dal proprio dolore. Soprattutto, viene violato l’ormai annoso silenzio tra i due antichi innamorati che si erano giurati eterna dedizione in quella lingua minacciata di scomparire. Per i due il recupero della lingua è un fatto esterno, che riguarda altre sfere e altri orizzonti, l’idioma di cui essi soltanto sono detentori non potrà servire a dirsi altro che l’amore di un tempo ormai perduto, poiché è stata la lingua delle promesse non mantenute.
La lingua acquista nel romanzo una dimensione esclusivamente intima e familiare, non concerne popoli o culture, non definisce identità, non è un fatto sociale, ma rappresenta piuttosto l’unico vincolo comunicativo che ha legato i sogni di due singole persone.
L’idioma è il vero protagonista del romanzo di Adrián Bravi. Un idioma che appartiene alla donna, a Casilda, e sarà lei, madre della sua lingua, a decidere se nutrirla o lasciarla perire dentro se stessa. Lo spagnolo rappresenta per loro la lingua pubblica, esterna, veicolare. L’antico idioma günün a künä è la lingua interiore, intima per le cui parole non esiste traduzione, ma è possibile unicamente una parafrasi approssimativa. La percezione linguistica che hanno Casilda e Bartolo possiede un carattere ancestrale, infantile, come quando si chiede ad un bambino bilingue di tradurre da una lingua ad un’altra. Il concetto di lingua si sviluppa soltanto dopo i primi anni di vita, pertanto per il bambino inizialmente non c’è traduzione, ma solo concetti esprimibili in uno o altro idioma.
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Come si dice in spagnolo? – chiese ancora Annibale
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Non c’è in spagnolo.
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Come non c’è?
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Non c’è, non c’è.
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Ma lei come direbbe la frase in spagnolo?
Bartolo rimase assorto con la faccia rivolta al cavallo.
[Bartolo] Vive in un mondo tutto suo. […] Ho l’impressione che siano poche le cose che riesce a nominare, giusto gli animali, le piante, il vento. […] Secondo me pensa ancora nella lingua della sua infanzia, e quello che non ci sta dentro gli sembra poco importante
Quella lingua antica conteneva in sé i nomi delle cose, le stelle, gli uccelli, il vento, e con quei nomi e guardando quelle cose i suoi due parlanti si erano innamorati. Morto l’amore moriva anche la lingua. L’autore si chiede se una lingua possa sopravvivere se le cose di cui contiene i nomi sono morte.
Secondo una leggenda esisteva una pietra che conteneva tutti i nomi, Annibale cerca di penetrare anche questo segreto.
E allora vai, Annibale, torna in Italia con il tuo bottino di notizie e guadagnati un pezzetto di gloria tra gli scienziati. Casilda resterà in questo “grande palcoscenico saturo di venti”, custode dell’intimità dei nomi che solo lei sa nominare.
Il personaggio che farà da Virgilio al viaggio di Annibale, permettendogli di raggiungere il villaggio sperduto e di tornare alla civiltà, ci lascerà insinuando un dubbio che potrebbe preludere ad un seguito del romanzo, chissà…
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Autore: Adrián N. Bravi
Titolo: L’idioma di Casilda Moreira
Editore: Exòrma, 2019
Sinossi
Un professore di etnolinguistica, Giuseppe Montefiori, da qualche tempo ha un’ossessione che non lo lascia dormire. Racconta ai suoi allievi che in una zona remota tra la Patagonia e la pampa argentina vivono gli ultimi due parlanti di un’antica lingua che si credeva scomparsa (l’idioma degli indios günün a künä). I due custodi di quella lingua però, Bartolo e Casilda, non si rivolgono la parola da tanti anni, per via di una lite amorosa che hanno avuto da giovani. Da allora quella lingua se la tengono stretta nella testa. Come fare per impedire che si perda per sempre? Annibale, allievo del professor Montefiori, decide allora di raggiungere Kahualkan, un piccolo villaggio in mezzo alla pampa, alla ricerca dei due indios. Proverà a metterli insieme, registrare una loro conversazione e recuperare così quel che si può di quell’idioma magico e ancestrale.