“La cena della vigilia: se vuoi parlare, usa la mia voce”
di Angela Parise
Recensione di Lisa Molaro
Per Luana la vigilia di Natale è una serata importante, magica, perfetta.
La cena del 24 dicembre è, per lei, il fulcro di tutte le festività natalizie.
Natale è nascita; alberi addobbati e presepi allestiti incarnano luce e vita.
C’è una superstizione secondo cui le porte delle case, a Natale, possono esser lasciate aperte senza paure e timori, poiché sulla Terra non c’è nessun demone o spirito maligno.
Luana aveva la situazione sotto controllo, quella sera.
“Il profumo era davvero invitante. Le cappesante cuocevano nel forno ricoperte da un leggero strato di pane imbevuto nel latte e condite di pepe, sale, aglio e abbondante prezzemolo: il polpo con le patate riposava nel frigo già da almeno un’ora e il sugo di peperoni e scampi sbolliva a fiamma bassa sul fornello. Nella sala da pranzo, il maniacale ordine della padrona di casa, aveva dato vita ad una delle tavole più belle di cui il parentado avrebbe mai avuto memoria: tovaglia rossa impreziosita da ricami bianchi ad intarsio, piatti in fine porcellana bianca, posate in argento ed i tre bicchieri canonici per vino, acqua e spumante. Ogni posto era contrassegnato da un menù sapientemente creato per l’occasione e da un piccolo segnaposto in pasta di sale raffigurante un angioletto con tanto di aureola: al centro, troneggiava una elaborata composizione di fiori secchi, bacche di viburno e foglie di ginepro che rilasciavano un profumo forte e caratteristico”
Grazie alla capacità descrittiva di Angela Parise, mi sono ritrovata, fin da subito, dentro ad un guscio di noce, caldo, morbido e accogliente. Leggevo le sue parole sorridendo e lasciando che l’armonia natalizia mi entrasse sottopelle… del resto lasciarsi avvolgere dalle “cose belle” è semplice e, sempre, piacevole.
Chissà se suo marito, dovendosi assentare un attimo da casa, aveva lasciato la porta aperta…
Non è a Natale che non serve aver timori?
Qualcosa è andato in corto circuito, in una manciata di secondi, qualche cosa si è compromesso.
Una teglia di ceramica viene lasciata cadere a terra; una tovaglia viene trascinata al suolo portandosi dietro tutto ciò che su di lei era stato appoggiato.
All’interno della stanza mutano i colori caldi, tipici delle feste, in un unico, prepotente, invalidante colore: quello della paura.
Niente, da quella vigilia in poi, sarà più lo stesso. Niente.
Attraverso l’intensa penna di Angela Parise, ci ritroveremo a vivere, andando avanti e indietro nel tempo, il quotidiano di più famiglie cucite insieme da un filato grezzo, ruvido, che graffia polpastrelli.
Nulla era facile, prima di quella vigilia di Natale.
Avanti e indietro nel tempo, incessantemente, mettendo sull’altalena dei giorni punti di vista diversi.
Un amore forte può lottare contro i mulini a vento?
Famiglie, humus fertile di retaggi culturali diversissimi tra loro.
Mescolanze di vite agli antipodi, si uniscono in matrimonio separando parenti.
“Dovete imparare a sognare di meno e guardare in faccia la realtà.” Diceva “Così non vi leccherete le ferite se il vostro principe azzurro dei miei stivali fa le valigie e vi lascia a guardarvi i piedi.”
Abituarsi a farsi gli affari propri, a faticare nei campi e a non chiedere per non dover poi dare. Abituarsi a vivere fra le mura della propria casa, delimitati da pareti capaci di chiudere fuori il mondo, come un riccio quando estrae gli aculei. Abituarsi a essere indifferenti alla vita.
Abituarsi ad essere cordiali, a creare iperbole di parole gentili, a fare mille salamelecchi, a imbandire tavolate di abbondante perfezione. Abituarsi ad essere brave donne di casa, donne capaci di GOVERNARE a dovere mariti, fornelli e convenzioni.
Senso del dovere.
Sardegna, Piemonte.
In tutto questo, se sei donna, che tu sia meridionale o settentrionale, hai un altro dovere: quello di generare altra vita.
“Il suo punto di vista era quello che una donna è voluta da Dio proprio per essere fonte di vita: il fatto che una femmina non fosse “strutturata” a dovere per procreare, non rientrava nel suo pensiero”
Chiamiamoli retaggi culturali o vissuti pregressi o ignoranza… chiamiamola come volete, ma è comunque realtà e questo completo romanzo, da essa è composto!
Puoi costruirti il tuo presente, lottare o smettere di farlo. Puoi arginare dighe e costruirti zattere di salvezza. Puoi fare l’impossibile per essere il regista dei tuoi giorni, ma certe cose sfuggono al tuo controllo e non chiedono, quasi mai, il permesso per entrare dalla porta. Entrano e basta, e che tu sia preparato o meno ad accoglierle, loro se ne fregano. La vita ti sbatte in faccia la parte più fredda della medaglia, e lo fa senza preamboli, senza edulcorazioni, in un secondo ti ribalta i giorni. Se sei forte, meglio, ma se non lo sei o impari a esserlo o alla vita non importa.
Un amore forte può lottare contro un ictus cerebrale capace di creare un muro tra il “penso” e il “dico”?
Afasia, dal greco “mutismo”.
Una rete impiglia la voce dentro maglie di sinapsi impazzite.
Esistono diverse cause e diverse diagnosi di Afasie.
Luana riporta l’Afasia di Broca, caratterizzata da un linguaggio telegrafico, lento, difficoltoso ma comprensibile, l’emissione verbale ha un senso.
Senso del dovere, ma stavolta il dovere è verso te stessa.
Ritorni bambina, devi ricominciare a sillabare, reimparare a masticare i cibi solidi, a lavarti, a camminare, a esprimerti.
La vigilia di Natale, nascita di Gesù bambino. Gli spiriti maligni non entrano dalla porta. Eppure…
“Era necessario girare il cervello come a teatro si cambia la scenografia tra il primo e il secondo atto”.
Avanti e indietro, sulla scala interna della torre “Vigilia di Natale”.
Più sconfitte, più cadute, più rinascite. Diversi problemi di diversi spessori. Capacità e incapacità nel gestirli.
Arrivi in cima alla torretta e leggi:
“Lei lo guardò piangendo. “Io… malata.”
“Tu sei quella più sana di tutti amore mio. I malati sono quelli che non capiscono il valore della vita, di un sorriso, di una piccola cosa. Tu da quel punto di vista sei quella che sta meglio. Ed io ti amo, tanto davvero.”
Perché sì: le difficoltà non sempre sono prevedibili e spesso quelle più ardue da superare sono proprio quelle che ti piombano addosso, repentine, come un’ascia sulla nuca. La differenza vera, la fa il modo con cui si affrontano; le mani a cui si concede il privilegio di poter esser d’aiuto, la solidarietà e la non estraneità dal mondo.
Perché la vita sa lasciare senza parole, non solo nel male ma anche nel bene.
Sempre.
“Se vuoi parlare, usa la mia voce”
Quanto amore, quanta forza, quanta unione… in sette semplici parole!
“E ricordate sempre una cosa importante seppur scontata: la felicità uno la trova dentro di sé e se la costruisce giorno per giorno: non è di quelle cose preconfezionate che si acquistano all’ipermercato. No. La felicità è una roba seria. Tu puoi essere ricco, avere un buon lavoro, una bella casa e sentirti avvolgere dentro da un vuoto che neppure sai da dove arriva. Poi ci sono io e le migliaia di persone come me, sulle nostre sedie a rotelle, col nostro tripode e senza più la nostra voce ma con una voglia di urlare al mondo la nostra felicità che può farsi sentire da chiunque.”
Sinossi:
In una Acqui sommersa nella neve e nell’atmosfera del Natale, ha inizio la più drammatica delle storie: mentre una tavola imbandita segna l’inizio delle feste, Luana viene colpita da un ictus. Un aneurisma cerebrale si è rotto levandola dalla sua normalità: sarà il marito Piero che nel corso delle settimane e dei mesi la aiuterà a rimettersi in piedi e a cercare nuovamente una normalità.
Sì.
Ma a che prezzo?
Luana è rimasta paralizzata, una grave afasia le ha levato l’uso della parola e della comunicazione e tutto sembra perso.
O forse no…
L’amore salvifico, un ambizioso progetto editoriale e la voglia di farcela porteranno proprio Luana nella sua particolare condizione a desiderare ardentemente di scrivere un libro con la storia della sua vita, del suo amore per Piero, di tutto quello che è stato, che è e che sarà.