Intervista a Emma Fenu,

autrice

di “Le dee del miele” e di “Sangue e Miele”

di Elvira Rossi

Sangue e Miele

Ci tengo a ricordare che mi esprimo sempre e solo come lettrice.

Non sono una scrittrice e neppure un critico letterario. Confesso, però, che talvolta vorrei esserlo, non per mia vanità, ma solo per aggiungere notorietà e prestigio alle opere di giovani e bravi scrittori, che apprezzo.

Tra questi c’è sicuramente la carissima Emma.

E per questo seguo con interesse le tappe del suo itinerario letterario.

Quando leggo un libro, non mi interessa solo la storia, mi piace entrare in contatto con la mente e l’animo dell’autore.

Sono una lettrice invadente e persino indiscreta, e questa volta ho deciso di esagerare.

Sangue e Miele

Cara Emma, sono felice di intervistarti per il nostro Cultura al Femminile.

Se me lo consenti, vorrei porti delle domande, affinché nella lettura del tuo ultimo libro Sangue e Miele, non ci siano zone, che io non abbia scandagliato in profondità.

Sarei curiosa di conoscere la genesi di tale raccolta di racconti, poesie, haiku e fiabe.

Risponde a un progetto predefinito oppure è costituito  dall’associazione di testi, in cui hai riconosciuto un’affinità di temi?

Sangue e Miele, come suggerisce il titolo, è figlio del mio ultimo romanzo, Le dee del miele.

Sono riflessioni, suggestioni, danze in versi che, nel periodo successivo alla stesura e pubblicazione della saga ispirata alla mia famiglia, hanno voluto avere voce, spesso inserendosi in antologie.

Osservando che tra le varie composizioni, ossia poesie, racconti e fiabe, si srotola lo stesso filo rosso delle altre mie opere, “Vite di Madri” inclusa, ho voluto creare una silloge che gioca fra il detto, il sussurrato e il non detto.

Quando hai scritto questo libro, hai pensato di rivolgerti a una categoria specifica di lettori oppure hai operato in assoluta libertà, senza porti simili interrogativi?

Mi rivolgo soprattutto ai miei concittadini, perché il testo italiano presenta una traduzione a fronte,  in catalano, curata dal Prof. Aldo Sari, docente presso l’Ateneo di Sassari.

L’intento di salvaguardare la llengua, ossia il patrimonio linguistico, e dunque culturale, che caratterizza Alghero, in cui il dialetto è una delle varianti riconosciute del catalano, ben si sposa con la mia condizione di espatriata e felice di esserlo, ma, comunque, molto legata alla propria identità.

Ma non solo ai parlanti catalano mi rivolgo o non avrei inserito il testo originale in italiano.

Ho pensato di scrivere per anime sognanti, che amano correre in bilico sulla corda tesa fra sogno e realtà, fra fiaba e cronaca… fra sangue e miele.

Senza paura, senza pregiudizi, senza filtri: solo con la voglia di accogliere i miei scritti e interpretarli in totale libertà, assumendo un ruolo attivo.

Ho definito complessa quest’opera, Sangue e Miele, e qualche volta ho avuto la sensazione di arrestarmi sulla soglia dell’emozione, senza riuscire a valicarla con speditezza.

Come giudichi l’atteggiamento di un lettore, che abbia la pretesa, o la presunzione, di entrare totalmente nel tuo mondo poetico, senza lasciare nulla di inesplorato?

A questa domanda mi piacerebbe avere una risposta sia da Emma autrice che da Emma lettrice.

Per prima ti risponde Emma la Donna.

Io sono una creatura complessa, non complicata, e con molti volti che si fondono in uno, da brava erede della Luna.

Non possiamo entrare nel mondo nascosto di nessuno, nemmeno di chi ci vive accanto e nemmeno, in modo totale, di noi stessi.

Gli esseri umani sono un’enigma ed è ciò che li rende interessanti, perché non si è mai certi di aver capito davvero.

Del resto “capire” non è sempre utile e affascinante come “sentire” e “creare”.

Ora cedo la parola alla Emma autrice e lettrice, che sono concordi e si esprimono all’unisono.

Mi piace scavare nelle storie, mie e altrui.

Mi piacciono i simboli, i lati ombrosi, i passaggi segreti fra le stanze dei capitoli o dei versi.

E mi piace svelarli, quasi tutti.

Il quasi è essenziale perché, in quello spazio imperscrutabile, vive il lettore

Leggendo il libro, progressivamente appare sempre più chiaro che attraverso le fiabe ti sei raccontata. Che cosa vorresti arrivasse di te ai lettori?

 Ho raccontato poco di autobiografico, ma molto di onirico.

Qualcuno, un certo Shakespeare, ha affermato che siamo stati fatti della stessa materia di cui sono fatti i sogni.

E di cui sono fatti gli incubi, mi permetto, umilmente, di aggiungere.

Vorrei che ai lettori arrivasse un mio lato molto autentico, quello della consapevolezza dell’essere donna.

Donna, figlia di dee.

Donna, figlia di madri.

Donna, umiliata da una storia universale di violenza.

Donna, capace di dare, nonostante il sangue, la dolcezza del miele.

C’è forse una parte di te, che per pudore o per riservatezza, stenta a svelarsi totalmente e si cela dietro un linguaggio talvolta ermetico?

Ovviamente. Ribadisco: c’è un “quasi£ che non conosciamo neppure noi.

Non ho pudore o riservatezza, ho rispetto del mio e dell’altrui angolo segreto che si svela, eccome, ma non si denuda.

Ognuno di noi ha un’anima gioiosa e un’anima dolente.

È forse quest’ultima, che domina in qualche espressione di non facile lettura?

La mia anima gioiosa è il risultato della dolente e viceversa.

Si nutrono l’una dell’altra e sono inseparabili.

Sangue e MIele

Nel tuo libro compare spesso l’immagine di una bambina dalle scarpette rosse. Questo tema ricorrente da dove trae origine? Mi incuriosisce molto. È la bambina che vive in te o altro?

Nella dedica di Sangue e Miele racconto chi è la bambina dalle scarpette rosse: è mia madre.

Poi questo motivo diventa dominante, al punto da comparire nella copertina, realizzata, come tutte le illustrazioni che costellano il libro, da Serena Mandrici.

La bambina dalle scarpette rosse sono io, figlia di me stessa e specchio di mia madre e di ogni altra donna.

Sono la bambina violata, uccisa, bruciata.

Lo sono non perché ho vissuto tali terribili esperienze, ma perché sono parte dell’umanità e ogni vita negata mi amputa.

“Nell’isola della passione” affermi “sono una jana”. Come lettrice mi sono data una spiegazione. Vorrei sapere da te, autrice, come spiegheresti questo processo d’identificazione.

Nell’isola della passione la voce narrante non sono io, ma la mia Sardegna.

È lei a essere Jana, io sono l’espatriato che, come un amante che si strugge, desidera con passione la propria donna.

Tuttavia, anche io sono una Jana, ossia una fata sarda, perché custode di antichi saperi millenari, regalatemi dalle donne che mi hanno preceduta, e perché credo nella magia della fiaba.

E crederci rende tutto possibile.

“Fiabe che hanno sapore di ferro e di latte” è una tua definizione.

E infatti il lieto fine, che di solito caratterizza questo genere, non è assicurato. Al contrario la conclusione spesso è drammatica.

Vorresti spiegarmi le ragioni di questo capovolgimento?

 Le fiabe sono una “cosa seria”.

Non nascono per cullare i bambini con il lieto fine, ma per affrontare tabù ancestrali e sviscerare la paura.

Perché la paura esiste. L’epilogo triste esiste.

E allora, ben venga la letteratura di evasione che ci regala sorrisi, di cui mai potremo essere sazi, ma anche quella che esorcizza i demoni, affinché li si possa smascherare e combattere.

Nell’ultimo haiku parli di “Arcano tabù/ sublimato in fiaba.” Il concetto di tabù sicuramente non è semplice da definire.

Presumo che tu alluda ai tabù, che interessano il mondo femminile.

Cosa intendi per tabù e quale tabù vorresti aver svelato attraverso le fiabe?

Un discorso sui tabù sarebbe troppo ampio, mi limito a dire il femminile è investito da connotazioni sacrali e potenti che, in virtù di ciò, sfociano nel proibito.

L’epifania della paura e dell’angoscia dell’uomo davanti alle delle donne, eredi delle Dee Madri, dai grembi fecondi e di Eva, dalla indomita sete di conoscenza, hanno generato la struttura patriarcale che tutt’oggi fa parte del nostro bagaglio culturale.

Esempi classici dei tabù al femminile sono la mestruazione, il parto, l’esibizione di parti del corpo dal valore sessuale, la promiscuità.

Le fiabe servono a comprendere, sciogliere, metabolizzare, elaborare; sono raccontate per raccontarci chi siamo, da dove veniamo e perché il mondo è così.

Nell’ultimo testo“Carne della mia carne, spirito del mio spirito” mi sembra che ci sia una sorta di sdoppiamento e che tu stia parlando alla bambina dalle scarpette rosse.

Emblematica del dolore, che si intuisce, è l’espressione: “Le scarpe di vernice rossa a riposo, pelle lucida senza un graffio, e i miei piedi fantasmi chiusi dentro le tombe”.

Vorrei comprendere meglio le ultime parole, che sintetizzano il significato intimo del testo.

Nel racconto citato, la bambina con le scarpette rosse, come giustamente sottolinei, si sdoppia. divenendo madre e poi figlia.

È la storia di una invalidità, anche metaforica, per cui una donna paralitica, dai piedi morti, quindi dentro tombe (immagine cara alle fiabe, basti pensare all’urna cristallo che le scarpette di Cenerentola simboleggiano) vive attraverso la propria bambina.

La vita della piccola, che osserviamo crescere, realizza il sogno della donna che l’ha generata, quale figlia diletta in cui compiacersi, parafrasando le Sacre Scritture.

Il rapporto simbiotico che si stabilisce fra le due protagoniste è uno dei tanti modi in cui la maternità si esprime, tema di cui io cerco sempre di indagare in modo spietato, mettendo in evidenza le zone d’ombra.

Ne “La fiaba nera delle scarpette rosse”, infatti, c’è di nuovo una madre, ma stavolta è cattiva e snaturata.

Ancora una volta hai prestato una grande attenzione alla condizione femminile e in particolare al tema della maternità, al rapporto madre figlia e alla violenza.

Il tema, sul quale in genere si è indagato di meno, a mio avviso, è il rapporto madre figlia.

Nella tua scrittura, che cosa proviene dal rapporto con un tua madre?

Mia madre è una donna complessa, come me. Talmente diversa in apparenza. Talmente uguale nell’essenza.

Il nostro è un rapporto che si è evoluto, che maturato: siamo due donne di 39 e 62 anni.

Mia madre è mia madre, ma è anche mia figlia: mi ha generato e io le ho mostrato il mio mondo, rigenerandola; mi ha insegnato a vivere (e a scrivere) e io le ho raccontato le mie fiabe, quelle rosa e quelle nere; mi ha dato tutto e io le ho restituito qualcosa, non importa pesarlo.

Mi sembra che tu sfugga a un appiattimento di tanta narrativa, sia per quanto riguarda la scelta dei temi che lo stile di scrittura.

Nella tua scrittura riconosci l’influenza della cultura sia mitologica e  letteraria che popolare della tua Terra di origine?

Che peso  attribuisci  a ciascuna di esse?

La mia scrittura è una cavità nella montagna di pietra calcarea: raccoglie acqua piovana e, più ne riceve, più si amplia, perché si lascia erodere.

Tutto mi affascina, tutto mi disseta, tutto desidero bere: le mie opere sono gocce minime di quanto mi circonda.

Io vivo di miti e fiabe, mi sono compagne le dee dell’Olimpo, le eroine dei romanzi, le jane sarde, le donne comuni che ogni giorno scrivono la storia con il sangue. E con il miele.

Pensi che si possa parlare di una scrittura al femminile o ritieni che non esista alcuna differenza?

Esiste una scrittura al femminile, perché, se è vero che ogni essere umano è diverso, le generalizzazioni sono però sempre necessarie se si vuole tentare di esprimere un concetto ed aprire un dibattito intellettuale.

Le donne non sono più intelligenti, più introspettive, più romantiche, più ricche nello stile. No.

Sono peculiarmente diverse nella prospettiva d’indagine di emozioni ed eventi, perché diverse a livello fisico e ormonale e, soprattutto, perché esito di un’educazione millenaria alla sopportazione e al silenzio con la quale hanno dovuto comunque confrontarsi, anche se nate in un periodo storico, come questo, che cammina verso la fine della discriminazione di genere.

È in cammino siamo tutti, non ancora giunti alla meta.

Emma, ti ringrazio per la disponibilità con cui hai risposto alle mie domande persino un po’ impertinenti.

Concordo con te sull’esistenza di una sfera intima invalicabile, di fronte alla quale bisogna arrestarsi con rispetto, però non vorrò  mai rinunciare a comprendere e a interrogarmi sul mondo poetico di chi scrive.

Cercherò sempre un dialogo con l’autore, un dialogo discreto e silenzioso, senza risposte.

Quando non dovessi sentire questa esigenza, significherebbe che non sono interessata né al libro e né a chi l’ha scritto.

Questa volta ho avuto il privilegio, sicuramente raro, di parlare con l’autrice.

Per me è stata un’occasione per conoscerti e apprezzarti ancora di più.

Ti ringrazio ancora e auguro buona fortuna a te e al tuo libro “Sangue e miele.”

Grazie a te per le profonde domande.

 

 

 

Titolo: Sangue e Miele
genere: antologia di racconti e poesie
Autori: EmmaFenu e Serena Mandrici
Edizione: Youcanprint, 2016
link d’acquisto:

https://www.amazon.it/Sangue-e-Miele-Emma-Fenu-ebook/dp/B01N1TPJEU/ref=sr_1_1?ie=UTF8&qid=1484660057&sr=8-1&keywords=sangue+e+miele