“Guanti bianchi:
Racconti dedicati a tutti i bilingui nell’anima”
di Giovanna Pandolfelli
recensione di Emma Fenu
Guanti bianchi è una silloge di racconti scritta Giovanna da Pandolfelli ed edita daDrawUp, incentrata sul bilinguismo.
Ho i brividi. Non fa freddo, ma il piacere della vita mi scorre sotto la pelle, come un rivo di acqua fresca, a mischiarsi con il mio sangue.
Eccole.
Cento colombe si donano al cielo, denudando l’addome.
Cento farfalle candide piroettano, aprendo e chiudendo le ali per catturare la melodia.
Cento onde spumose trasportano alla riva delfini e tesori.
Cento guanti bianchi. Cento Manos Blancas.
Si tratta di un coro, composto da bambini ed adulti sordomuti che, potendo percepire le vibrazioni della musica prodotte dal secondo coro, a loro affiancato, muovono le mani guantate di bianco, esprimendo, con il corpo, l’universalità dell’arte, che è di tutti e per tutti.
Mi viene in mente una ricerca della semiologa Sabina Cedri riguardo all’uso dei guanti bianchi nei film d’animazione Disney: appartengono a personaggi, come Topolino e Pinocchio, che sono al contempo umani e non.
Appartengono a due mondi, quello della magia e quello della realtà: non a caso, trasformato alla fine della storia in bambino “vero”, l’ex burattino avrò mani prive di copertura.
Anche i personaggi dei racconti di Giovanna sono “duplici”, in quanto bilingue.
A metà fra il saggio e la narrativa, il libro si presenta estremamente interessante: il bilinguismo coinvolge fortemente la nostra società in cui molti sono gli espatriati, me compresa che, per questioni lavorative o familiari, risiedono in nazioni diverse da quelle in cui sono nati.
Vi è poi il caso di immigrati da zone del pianeta colpite dalla miseria e/o dalla guerra che raggiungono zone di maggior benessere e cercano di integrarsi, da soli o con il proprio nucleo familiare, in primis cercando di possedere i rudimenti della lingua del paese che li accoglie.
Stringendo relazioni interpersonali e, soprattutto, mettendo al mondo figli nella nuova patria, creano famiglie bilingue.
Non sempre il bilinguismo è perfetto, a volte una lingua domina sull’altra, a volte una lingua si dimentica perché non la si pratica o per ragioni psicologiche.
Quasi sempre a esso si accompagna il biculturalismo, ossia il possesso dell’insieme delle tradizioni, valori, tabù, comportamenti socialmente accettati e condivisi che, insieme all’idioma, costituisce l’identità di ciascuno.
Perché, se è vero che noi parliamo una lingua, è altrettanto vero che siamo parlati da essa, ossia condizionati culturalmente dal registro linguistico che adottiamo e dal modo e dalla fase della nostra vita in cui l’abbiamo appreso.
Tuttavia, essendo io, qui, in veste di recensora e non di linguista, mi concentrerò brevemente sui racconti proposti da Giovanna Pandolfelli, i quali si rivelano estremamente piacevoli anche dal mero punto di vista narrativo.
Attraverso un stile curato, ricco eppur scorrevole, l’autrice descrive personaggi e luoghi in modo personale e preciso, cogliendo, nei primi, contraddizioni, emozioni, traumi, bella intestina e desiderio di capire ed essere capiti.
Sono storie brevi, spesso con un finale sospeso, che avvincono e conquistano, dunque, rendendo il bilinguismo una condizione umana liminare e universalmente comprensibile.
Mettendo in scena varie tipologie del fenomeno, fra cui quella degli udenti che conoscono il linguaggio dei segni, storia che al libro dà il titolo, si racconta, in una pluralità di voci e sentimenti, l’umano percorso interiore alla ricerca dell’appartenenza e dell’identità che si profila non come rifiuto dell’alterità e della differenza, ma come consapevolezza del proprio essere.
Sinossi
Guanti bianchi è una raccolta di racconti scritti da una penna sensibile e attenta che, focalizzandosi sul tema del bilinguismo, ci conduce nelle esistenze di personaggi diversi eppure simili: uomini, donne e bambini che in comune hanno una non-appartenenza, o meglio una duplice appartenenza, un biculturalismo a volte doloroso, che li vede spettatori di conflitti tra culture, tra origine e divenire, tra progresso e tradizione, tra il prima e il dopo.
Che siano persone in viaggio, emigranti che vivono al crocevia di una fusione tra culture, che siano sordi o dislessici, i protagonisti di questi racconti cercano un modo per stare in equilibrio nel mondo, per essere compresi e per comunicare, per potenziare l’espressione di sé nell’ambiente che li circonda, senza il peso di sentirsi narratori solitari.
Storie che insegnano a riconoscere il potere del linguaggio e la libertà che esso ci dona. Un’opera eterogenea e sperimentale, che unisce narrazione e riflessione, e senza alcuna retorica lascia sbocciare l’esperienza corale del suono e del senso che infrange il silenzio.