“Donne che emigrano all’estero. Storie di Italiane nel Mondo”
Recensione di Elvira Rossi
“Donne che emigrano all’estero. Storie di Italiane nel Mondo” racchiude la testimonianza di trentaquattro italiane, che sono emigrate in paesi differenti. Ciascuna racconta la propria vicenda di expat, scegliendo liberamente i temi da trattare, senza seguire uno schema prefissato. Tale strategia ha giovato molto alla narrazione e l’ha resa sempre varia e ricca di spunti inediti, sorprendendo il lettore.
Il libro, che vorrebbe essere una semplice testimonianza, sorpassa le intenzioni manifeste e assume un significato molto più ampio.
Diventa documento di un momento storico, interessato da processi di emigrazione e immigrazione con tutte le implicazioni personali e culturali, che ne conseguono. Fotografa la realtà del nostro tempo e per mezzo della parola scritta supera persino l’efficacia rappresentativa di un documentario, consentendo un’ampiezza di osservazioni, che una visione rapida e sintetica di un video non permetterebbe.
Inoltre questo testo, che sicuramente non è nato per criticare le Istituzioni, assume anche il valore di una grave denuncia a carico del nostro Paese e in particolare di una classe dirigente, incapace di garantire a una generazione la possibilità di delineare un progetto per il futuro.
Non era certo nelle intenzioni di chi ha ideato quest’opera discorrere, e tanto meno polemizzare, intorno a questioni sociali, che attengono alle soluzioni della politica, ma probabilmente proprio per l’assenza di questo proposito tanti problemi come quello del lavoro, del merito, del clientelismo, dei servizi pubblici, alla fine s’impongono con evidenza e, oltrepassando gli aspetti biografici, prospettano un’immagine desolante dell’Italia. Un Paese confuso e pieno di contraddizioni, che sembra non accorgersi dei propri figli in fuga.
Sono vicende raccontate con un tono discreto e pacato e i sentimenti, anche quelli di grave disappunto, non vengono mai urlati, ma sono sempre espressi con una moderazione, che stride con la gravità delle affermazioni. Tanti pensieri che vagano in tranquilla libertà, come tasselli di un mosaico, occupando ciascuno il proprio spazio, alla fine pur senza averlo architettato, ci rilasciano un dipinto dalle tinte grigie. E questa volta toccherà al lettore elevare la propria voce, dando sonorità a chi si è espresso con un pudore sommesso, nel vano tentativo di velare la brutalità della deludente situazione italiana.
Dal vissuto delle autrici la rappresentazione davvero sconfortante della nostra Nazione stimola molto seriamente la riflessione dei lettori, che sono chiamati a interrogarsi sulle diverse questioni trattate o anche a prenderne coscienza come suggerisce Cristina Cavalli, che vive a Madrid.
È sorprendente che nell’animo di queste donne affiori un sentimento di nostalgia sempre e solo per un aspetto particolare, gli affetti familiari o il cibo o il clima, ma mai per il Paese nel suo insieme, che non viene rimpianto, perché non lo merita. Non è raro il caso in cui all’Italia sono riservate parole chiare di rancore. Afferma Elena Caselli: “Io, l’Italia non l’ho ancora perdonata”.
Questo libro è tante cose nello stesso tempo, costituisce una vera e propria miniera, che può portare alle luce mille argomenti da esaminare. Si spazia da una dimensione privata a una dimensione collettiva.
Le sue pagine potrebbero interessare lo psicologo, l’antropologo, il sociologo, lo storico, l’economista.
È una lettura avvincente, che non si vorrebbe mai abbandonare e la sincerità e il calore delle parole suscitano nel lettore un rapporto empatico, proponendogli un doppio viaggio: uno nell’interiorità delle protagoniste e un altro attraverso paesaggi e stili di vita sconosciuti. A tal proposito non possono non tornare alla memoria i versi di Emily Dickinson
“Non esiste un vascello veloce come un libro / per portarci in terre lontane”.
Le pagine del libro hanno la potenza di traghettare i lettori verso sponde lontane e svelano segreti, che nessuna guida turistica mai potrà riferire.
Le autrici hanno lasciato l’Italia per varie ragioni, chi per caso e chi per scelta. L’expat, che inizialmente è stato guidata dal caso, successivamente tradurrà l’imprevedibilità in una scelta convinta e meditata. Talvolta sono sole ad affrontare questa avventura, altre volte hanno un compagno e magari dei figli.
Al di là delle differenze le emigranti hanno dei tratti comuni: la determinazione, il senso di autonomia e di adattamento. Si sottraggono volentieri alla tutela della famiglia di origine, rinunciando alla sicurezza. Ridisegnano il proprio piano di vita, accettando l’ignoto e cercano nuovi orizzonti, per vivere con pienezza e realizzare le proprie aspirazioni.
Sono coraggiose, ma mai incoscienti.
Consapevoli degli ostacoli non li edulcoreranno, tuttavia non li drammatizzeranno neppure, li hanno messi semplicemente in conto, considerandoli come una contropartita di conquiste e gratificazioni.
Dei disagi discorrono in maniera lucida e priva di enfasi, nessuna che si dipinga come un’eroina. Semplicemente donne e solo donne, forti e capaci di dominare le fragilità e i momenti difficili.
Quasi sempre hanno compiuto un percorso scolastico elevato e hanno acquisito una certa conoscenza di qualche lingua straniera. Quando si emigra in paesi in cui si parla una lingua del tutto sconosciuta, le difficoltà aumentano notevolmente e il processo d’integrazione diventa meno rapido.
L’emigrazione dei nostri tempi assume specifiche connotazioni e sempre più spesso a lasciare l’Italia sono persone, che aspirano a percorrere itinerari professionali di tutto rispetto.
Queste donne diventano l’emblema di una realtà in movimento, nella quale i confini vengono a cadere e ogni essere può sentirsi cittadino del mondo.
Non è più il destino a definire l’appartenenza di un essere a un paese, è piuttosto il soggetto a scegliere e a decidere in base ai propri interessi e al proprio temperamento.
Il trasferimento in un paese straniero, imponendo variazioni nello stile di vita, inevitabilmente altera l’equilibrio della persona. Certamente non è un’avventura facile. L’esperienza di vivere altrove è così eccitante e totalizzante da generare reazioni emotive, che turbano la psiche dell’individuo. Si diventa altro rispetto a quello che si era prima, tuttavia c’è un prima che appartiene e apparterrà sempre all’expat ovunque vada. Da una parte non sarebbe possibile fingere quello che non si è più e dall’altro sarebbe irragionevole negare la propria origine. Numerose osservazioni mettono in rilievo quanto possa essere arduo e talvolta lacerante, tra elementi di destabilizzazione, ricomporre la propria percezione di sé.
Afferma Sheila Todisco:
”La mia identità, il mio senso di appartenenza sono in continuo movimento. E ancora Samanda Del Sordo, che vive a Dublino: “Ho cercato di eliminare una parte di me stessa, la mia diversità, per essere il più possibile simile agli altri, per integrarmi. Per poi capire che non potevo camuffare la mia identità, né cambiarla, né tanto meno distruggerla”. (“Donne che emigrano all’estero. Storie di Italiane nel Mondo”)
Sopra un’eredità di affetti e di ricordi, che non possono essere ignorati, le emigranti dovranno costruire un altro profilo, in cui riconoscersi, conciliando un passato e un presente, che frequentemente cozzano per le profonde dissonanze e i punti di contrasto.
Il momento diventa ancora più sofferto, quando affrontando l’educazione dei figli si è consapevoli che si sta scegliendo anche per il loro avvenire. In questi casi la volontà di una piena integrazione nel territorio straniero convive con il desiderio di mantenere desta la memoria storica della famiglia e del Paese di origine.
In tali storie il tema dell’identità è il più avvincente e appassionante, su cui psicologi e antropologi avrebbero molto da considerare.
La pacificazione con se stessi e il benessere dipendono proprio dalla capacità di ristabilire un’armonia tra la propria immagine e il mondo esterno.
I processi d’integrazione sono più semplici nelle grandi città, dove le barriere culturali, le più resistenti da rimuovere, in larga misura sono già state abbattute.
Le emigranti parlano del Paese che le ha accolte con gratitudine, ammirazione e persino con amore. Sono capaci di apprezzare le attrazioni di ogni territorio, non a caso frequentemente si soffermano a descrivere con entusiasmo le bellezze paesaggistiche, che presentano caratteristiche molto diverse da quelle delle regioni italiane.
Analizzano con modalità neutrali e imparziali le varie società, stabilendo un confronto tra le negatività e le positività.
I bilanci sono sempre attivi e i vantaggi, che derivano dalla nuova vita, ricompensano ampiamente le perdite. Parlano senza avversione e con serenità delle situazioni sfavorevoli. Il processo di accoglienza e d’integrazione si fonda sulla reciprocità: un Paese le ha saputo accogliere e loro hanno saputo ricevere la cultura del nuovo mondo.
Non pensano di tornare indietro, in maniera chiara affermano che non potrebbero più vivere in uno spazio limitato, alludendo sia all’ambiente fisico che civile. Osservando l’Italia da lontano, la giudicano ferma nella propria arretratezza. Non sono distrutte dal rimpianto e molte di loro dichiarano che se dovessero tornare a vivere come in origine, si sentirebbero straniere nel luogo di nascita, perché hanno assimilato una visione più ampia ed evoluta dell’esistenza.
Molto razionali e obiettive ammettono che il Paese perfetto non esiste, anche le nazioni più accoglienti e progredite nei diritti civili non sono totalmente immuni da mancanze e persino dalla minaccia del razzismo. Ovunque le difficoltà delle minoranze non sono state risolte totalmente. Oltretutto in un momento di massicci spostamenti dal Sud al Nord del mondo, tutti i paesi sono soggetti a pressioni, che spesso provocano reazioni ostili nelle fasce più inclini ideologicamente all’esclusione.
Le relazioni umane oggi sono notevolmente influenzate dal fenomeno delle emigrazioni che, muovendosi in svariate direzioni, favoriscono l’incontro con la diversità.
Le autrici con le loro storie, pur senza enunciare principi e teorie, ci impartiscono una lezione e un esempio di intercultura. L’integrazione parte dalla conoscenza e dall’accettazione della diversità, ma per la sua realizzazione deve andare oltre, ovvero deve approdare al confronto e al dialogo con le varie civiltà.
Solo in virtù della condivisione e della partecipazione di un vissuto è possibile transitare da una dimensione multiculturale, fondata su una pluralità di schemi, a una dimensione interculturale, ricca di relazioni umane. Una crescita e un arricchimento personale, da cui consegue una modificazione di mentalità, si realizzano solo a condizione che non ci si isoli nel proprio gruppo omogeneo. Tuttavia nessuno dovrebbe essere indotto a diventare come l’altro, per essere accettato. L’integrazione è scambio, arricchimento, reciprocità, richiede l’esaltazione delle differenze e non l’annullamento dei valori personali.
Per tante ragioni leggere il testo è rischioso, viene voglia di partire, emulando l’esempio di queste straordinarie donne.
“Donne che emigrano all’estero. Storie di Italiane nel mondo” è un libro entusiasmante, che merita un’ampia diffusione e sollecita una discussione approfondita intorno alla molteplicità degli argomenti sollevati.
Le expat hanno molto da raccontare e da insegnare. Mediante queste pagine ci hanno preso per mano, ci hanno scelto come compagne di viaggio guidandoci attraverso paesi sconosciuti. Hanno condiviso con noi esperienze ed emozioni e ci hanno fatto sognare. Il loro viaggio è diventato anche il nostro viaggio, splendido e ricco di insegnamenti.
Grazie a tutte di questo dono prezioso.
Donne che emigrano all’estero – La scheda
Autori: Aa. Vv.
Titolo: “Donne che emigrano all’estero. Storie di Italiane nel Mondo”
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Che bello questo articolo, una delle nostre recensioni migliori! Grazie ancora Elvira