Chiedi perdono di Ann Marie MacDonald
Voce all’Altrove
recensione di Cynthia Collu
Chiedi perdono è un romanzo di Ann Marie MacDonald edito da Adeplhi nel 1999.
Ho avuto finalmente l’incontro tanto atteso: quello col romanzo-romanzo.
Lo aspettavo da tempo e lui è arrivato inaspettato, mentre cercavo dei libri che parlassero d’incesto.
La bibliotecaria (una ragazza minuta, dai larghi occhi, verdi e inquietanti, che potrebbe entrare a pieno merito nel romanzo della MacDonald) mi ha detto di averlo letto tempo fa, e di averlo trovato bellissimo.
Ok, aggiudicato. Mi acchiappo Chiedi perdono, più altri che trattano l’argomento: La figlia femmina di Anna G. Dato più un altro libricino di Isabelle Aubry, La prima volta avevo sei anni..
Leggiucchio l’ultimo, un romanzo verità: parla ovviamente di cose terribili ma purtroppo l’autrice scrive in un modo che mi fa passar la voglia di andare avanti: (che brutto vizio non sopportare la scrittura sciatta, e ancor meno quella omologata!)
Esito tra La figlia femmina e Chiedi perdono, poi prendo in mano quest’ultimo.
In fin dei conti un Adelphi è – quasi sempre – una garanzia.
Leggo. Leggo e sono felice. Leggo e mi commuovo, ma non nella pancia, no. Nessuna corda che vibra. Nessuna empatia coi personaggi, troppo lontani da me, troppo sopra le righe, troppo letterari, forse. È un’emozione tutta di testa, è rispetto, è gratitudine. È gioia per l’incontro con un’autrice che – vivaddio – ha scritto un grande, difficile romanzo.
Non posso che ammirare la sua abilità nel tenere in piedi una struttura di quasi seicento pagine, sapendo con sapienza spargere sassolini qui e là, annodare fili pendenti, lasciarne qualcuno dondolare libero per poi, mentre il lettore si pone mille domande, zac!, ecco che te lo riannoda sotto il naso, e tu dici, Ah, dunque era questo!
Attenzione: spoiler
Non posso che ammirare la sua capacità di rendere i personaggi (tutti, e sono tanti) memorabili, e così diversi l’uno dall’altro! Katleen, la sua musica. I suoi capelli biondi.
La sua alterigia e l’amore appassionato per il padre. Mercedes, gli occhi bruni sempre attenti a sorvegliare la famiglia, il suo essere quasi servile, la sua religiosità fanatica, il suo bisogno d’amore che si riversa sulla sorella Frances, fino a… E Frances.
Piccola, rabbiosa. Cinica. I grandi occhi nocciola con le schegge di luce verde che ti pugnalano, Frances che ha subito, Frances che si odia per quello che ha fatto da piccolina ai gemelli, e che vuole solo buttarsi via, dandosi in pasto agli uomini.
E Lily, la dolce sorellina con la gamba cionca per la poliomelite. L’assennata, timida, meravigliosa Lily.
Ognuno di questi personaggi rimane impresso nella mente (un’impronta indelebile), così come Materia, la madre delle ragazze: bambina tredicenne si dà a James e lo sposa contro il parere della propria famiglia.
Ma a poco a poco, incompresa dall’uomo che dovrebbe renderla felice, spegne ogni sua energia vitale, avvizzisce, tutte le sue energie sono per ostacolare lo squallido desiderio che intuisce nel marito.
Temi scabrosi, in questo romanzo: eppure la scrittrice ha una tale delicatezza nell’affrontarli da sfiorare la poesia.
Qui per esempio è il padre che parla:
“Sua figlia sta piangendo. E’ sconvolta. Le ha fatto male, come? Con le mie stesse mani. Dio santo. Allunga le braccia, sfiora una spalla, un gomito, le cinge il fianco e la preme conto di sé, non le ha mai, non le avrebbe mai fatto del male, meglio morto, mi taglierei le braccia. Sente così intensamente quello che sente lei, abbracciandola: “Non piangere”. Una fatale empatia. “Calmati ora,” la gola riarsa e tesa, “sssh”, la deve proteggere [..]Nel corpo gli entrano una vita e un calore che non sentiva da… che raramente ha sentito. Ti terrò al sicuro, tesoro mio, oh quanto ama quella ragazzina. La tiene stretta, niente paura, mai e poi mai ti farei del male. I capelli hanno un sentore di acerba primavera, la pelle è seta di mille telai, il respiro così fragrante, miele e latte nella tua bocca…Poi inorridisce. La lascia andare staccandosi bruscamente, perché lei non si accorga di quello che gli è successo. Malato, Devo essere malato. Esce dalla stanza e scappa dalla porta sul retro, attraversa il torrente fino all’orto, dove si calma abbastanza da vomitare.”
L’autrice ci sta dicendo che James, abbracciando la figlia Katleen, ha avuto un’erezione. Mette qui il primo sassolino per una storia che avrà un epigono – forse – scontato.
Ripeto, questo romanzo l’ho amato soprattutto di testa. Da scrittrice, non ho potuto che ammirare in toto la bravura della McDonald. Non ultima, la sua splendida scrittura. È un romanzo che t’inchioda e non ti lascia più.
Però, c’è un però.
Non sono entrata un empatia con i personaggi perché li ho sentiti spesso eccessivi (vedi Frances quando si concia da puttana e masturba gli uomini per farsi dare i soldi che potranno mandare Lily a Lourdes (ma Lily, la meravigliosa Lily, non vorrà, lei ci tiene alla sua gambina malata); quasi sempre siamo davanti a situazioni inverosimili; i personaggi hanno spesso atteggiamenti poco spiegabili o addirittura incomprensibili; insomma, sono personaggi così lontani dalla realtà (seppure in qualche modo, veri) da avermi reso impossibile il riconoscermi in qualcuno di loro, il sentirlo mio: quello che in fin dei conti, un lettore chiede all’autore.
Che gli parli, che parli proprio a lui.
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Sinossi
Un’isola livida e crudele della Nuova Scozia sul finire dell’Ottocento, un giovane accordatore di pianoforti, una tredicenne libanese.
I due si amano, e per sposarsi non esitano a fuggire.
La loro passione sarà breve e bruciante, immani le conseguenze: giacché sulle loro figlie si abbatterà un destino di colpe indicibili e occulte menzogne che finirà per distruggerle.