viaggio

Diciassette franchi ( e del mio angelo a Parigi)

di Giulia La Face

 

Primavera atlantica. Cielo da marinai. Colazione riflessa dai vetri di un appartamento sul rumore gentile di Nantes. Ho chiuso il mio bagaglio leggero, con un cuore d’acciaio a muovermi le dita. Un rientro improvviso, duro, necessario.

“Je m’en vais, pardon, je dois aller, je dois, laisse-moi à la gare, laisse-moi!”.

Occhi scurissimi, impenetrabili, rabbia trattenuta. Ho necessità di fuggire, la mia pelle silenziosa, senza echi, chiusa la mia giacca, le mie strade già piene di sole laggiù, mi attendono, mi liberano i pensieri.

Niente rimborso del biglietto di ritorno, il viso asciutto, segaligno della commessa della agenzia di viaggio mi offre un solo biglietto, costosissimo, un TGV fino a Parigi, poi un biglietto notturno per l’Italia.

Di fianco è palpabile la tensione. Non è un arrivederci, ma un addio cattivo, che desidero con tutta me stessa.

Pago, due biglietti che mi costano quanto il viaggio mai finito. Mai iniziato forse.

La panchina ad attendere il tram, io in piedi, lui seduto occhi fissi all’asfalto, un ghigno trattenuto, le spalle rigide: ”Littérature, tu fais de la littérature!”, urla.

Si, sono giovane e ho voglia solo di fuggire. Un abbaglio, un inganno della mente, un momentaneo offuscarsi della ragione.

Si aprono le porte del tram, sono libera. Si chiudono alle mie spalle e sul suo sguardo che trapassa la lamiera ma non mi tocca più.

Si allontanano le strade appena note. Ho un pò paura.

Conto le ore che mi separano da percorsi già visti. Ho bisogno di casa, letto, caffè, il sorriso di un amico sincero, un banale cielo azzurro, un portico dove prolungare i pensieri del primo mattino.

Il TGV è fantascienza, in Italia ci sono treni lentissimi, mi sento in un film.
Il cuore in allerta. Ho pochi soldi in tasca.
Arrivata alla Gare St. Michel avrò cura di usare la Métro. Pochi spiccioli fino alla Gare de Lyon e da lì un treno italiano, odori conosciuti, i sedili di finta pelle, i finestrini opachi di pioggia trattenuta, poche ore di buio e infine la luce della mia città e dimenticare due occhi spaventosi.
Il mio silenzio. La mia ribellione. La mia forza . La mia paura.

Arrivo con pochi minuti di ritardo, c’è folla e una confusione eccessiva, qualcosa di vibratile ed elettrico . “S’il vous plait, la Métro!” . Mi guardano frettolosi, come stessi chiedendo la strada più veloce per la Luna.

“Mademoiselle, il y a une grève, une grève!”.

Sciopero. Sono persa, ho trenta minuti di tempo. Perdo il treno per l’Italia. Non ho più soldi, non conosco nessuno, sono giovane, sono una bambina in quell’istante , cosa faccio…

Corro a cercare illusoriamente un taxi.

Una fila di centinaia di metri mi fa capire che non prenderò nessun treno, impossibile, ore di attesa. Rimango a guardare a distanza di pochissimi metri quella fila lunga e paziente, che si snoda sul marciapiedi.

Nessun taxi, il mio cuore furioso, i minuti un martello pneumatico nella mia testa. Avverto al mio fianco un movimento. Un taxi, lento e silenzioso, un finestrino abbassato, si ferma : “Où allez-vous?

Non ci credo, guardo con un occhio la folla in coda, io alle sue spalle. Ora mi vedono e mi assalgono, penso. “Je vais à la Gare de Lyon, monsieur”.

Mi guarda intenso ma leggero un lampo azzurrissimo: “Allons donc!”

Salgo, nessuno si accorge di nulla, è incredibil: sfiliamo davanti la coda infinita di persone in attesa e nessuno sembra vedere nulla. Trasparenza.

Parigi, sotto la pioggia.

Quanto l’ho amata in certi giorni tranquilli, di bistrot e caffè, di asfalti lucidi, di respiri sottili.

Ora la pioggia bagna furiosa i tetti di un fiume di macchine, un traffico folle si riversa sulle stesse vie dei miei antichi percorsi. Ho poco meno di mezz’ora per prendere il treno. Il taxista è silenzioso, cambia spesso strada all’improvviso, sceglie percorsi a me poco noti.

Il tassametro corre di fianco al tempo, vanno entrambi velocissimi verso una comune meta, il mio panico assoluto. Mentre siamo immobili nel traffico.

Ho diciassette franchi. Ho solo diciassette franchi.

Non potrò mai farcela. Immagino di dormire alla stazione, immagino di dover scendere perchè i soldi non mi bastano. Non ho neppure una moneta per poter telefonare in Italia.

La pioggia mi offusca i pensieri. Sono un fascio di nervi e paura. Dieci minuti. Il traffico sembra una piovra che inghiottirà i miei ultimi centesimi e tutta me.

Occhi fissi sul tassametro. Occhi che rimbalzano sulle sfere dell’orologio.

Primavera del 1994, finirò all’inferno , penso.

D’improvviso si apre il cielo, sedici franchi e settanta, sedici e ottanta, sei minuti alla partenza del treno, mi tremano le ginocchia, sedici franchi e novanta, devo correre, quanto manca, ci siamo quasi, mon Dieu!

Diciassette franchi: sono davanti all’ingresso della Gare de Lyon.

Diciassette franchi, cifra tonda, magica,  tre minuti e il treno va via. Il taxista si volta, mi penetra e mi avvolge con i suoi occhi azzurri, di un altro mondo.

Mi ha salvato. Un angelo. Dix-sept francs!” e sorride.

Diciassette franchi. Sorrido.

Svuoto il portafoglio, lascio la mia gratitudine sul sedile. Mi sembra un miracolo. Il mio treno, eccolo, stanno per chiudere le porte, salgo con le ossa scomposte, ho le ali forse.

Ultimo gradino. Le porte si chiudono immediatamente dietro di me. Il treno fischia. Sono una bambina stupida. Fortunata. Incosciente. Coraggiosa. Grata. Protetta.Affamata.

Nel mio scompartimento una madre gentile e due bambini. Mangiano. Ho fame. Non ho un centesimo, neppure per l’acqua. Ma sono salva, penso.

Sono una bambina. Un angelo è arrivato a portarmi a casa.

Una mano generosa e materna mi offre un panino e dell’acqua.

Mi lascio andare nell’odore di cuoio, di antico, di marmellata e pane e mi addormento. Mi accompagnano due occhi azzurri.