FEMMINISMI FUTURI. TEORIE. POETICHE. FABULAZIONI – A cura di Lidia Curti, con Antonia Anna Ferrante e Marina Vitale

Recensione di Veronica Sicari

femminismi futuri

Femminismi futuri. Teorie. Poetiche. Fabulazioni è una raccolta di saggi, a cura di Lidia Curti con Antonia Anna Ferrante e Marina Vitale, edita da Iacobelli editore nel dicembre 2019.

Femminismi futuri vede la luce grazie all’omonimo gruppo di lettura e ricerca sviluppatosi nell’ambito del Centro di studi postcoloniali e di genere dell’Università Orientale di Napoli.

Il testo, raccoglie 10 scritti, più un’introduzione a firma della curatrice Lidia Curti, e una postfazione di Luciana Parisi, e si pone come un manifesto, con lo scopo di divulgare le evoluzioni attraversate negli ultimi decenni dal movimento femminista.
In particolare, diverse tra le riflessioni dei testi presenti nella raccolta, traggono spunto dalle opere delle attiviste femministe appartenenti alla corrente cosiddetta transfemminista, intersezionale e cyborg.

Attraverso i saggi, le autrici ripercorrono l’attivismo femminista, allo scopo di fornire un nuovo modo di guardare al mondo e agli sconvolgimenti ancora in atto nella nostra società: a partire dalla letteratura fantascientifica femminista di Octavia Buttler e Ursula Le Guin, fino all’arte, la filosofia, l’analisi dei nuovi media.

Femminismi futuri è un tentativo, ampiamente riuscito, di una pratica tanto cara alla teorica del cyber-femminismo, Donna Haraway, che nel suo Staying with the trouble. Making Kin in the Chthutulucene prospetta la necessità di imparare a vivere in un pianeta infetto, in pieno Antropocene e Capitalocene, sperimentando nuove forme di parentela trans-specie, che ricomprendano animali e piante.

E ciò è possibile attraverso quello che l’Autrice chiama FS, ossia una pratica di femminismo speculativo, fantascienza, fabula speculativa e fatto scientifico.
Nel saggio “Imparare a riprogrammarsi: la storia di Lil Miquela e dei suoi femminismi”, Stamatia Portanova spiega che

“la speculazione è quella modalità del pensiero che, attraversando diversi campi e discipline (tra cui la sociologia, la filosofia e le scienze informatiche), reindirizza il discorso in direzione del futuro. Riflettere sulla prospettiva di un femminismo, anzi di molti femminismi futuri, è un impegno speculativo ormai inestricabilmente connesso alla relazione tra esseri umani e tecnologie”.

Immaginare il futuro equivale a scrivere e creare il futuro: e la pratica FS non può non prendere in considerazione le nuove tecnologie e i nuovi mass media. Internet è entrato prepotentemente nelle vite di ognuno di noi, modificando la nostra capacità di relazionarci, e al contempo creando nuovi e più accessibili spazi di aggregazione.

Particolarmente interessante è, sul tema, lo scritto di Antonia Anna Ferrante, “Sesto senso transfemminista. Telepatia in un mondo di guai”: che si sofferma sulle connessioni che la tecnologia è in grado di creare in ognuno di noi.

La sua analisi della popolare serie tv, Sense8, spiega in maniera efficace come i prodotti fruiti attraverso piattaforme streaming possano formare la coscienza critica e attivare parti del cervello altrimenti silenti in chi le guarda.
Scrive:

“I media permettono il passaggio di energia e intensità a distanza. Il passaggio di flussi tra umani e non umani – qui penso soprattutto alla relazione con la macchina – è un elemento centrale del consumo su piattaforme e oggetto di interesse non più rimandabile.

La televisione di Netflix è una televisione che plasma mentre è plasmata, presentando nuove frontiere di quello che Lazzarato (2006) definisce ‘asservimento macchinico’. […] Io ho Netflix, esprimo gusti, recensioni, feedback, e condivido su Facebook. Netflix ha me. In questa relazione di asservimento mi fondo nell’applicazione senza più distinguere l’elemento umano e proprietario”.

Sense8 racconta la storia di otto individui, che pur vivendo in diversi punti del pianeta, sono tra loro connessi. La serie in qualche modo, ripropone la politica di Donna Haraway e del suo “make kin not babies”, incarnata, secondo l’autrice, nella figura di Angelica, che tra gli otto protagonisti rappresenta una matrice, perché mantiene in connessione gli altri protagonisti:

“Angelica non è La Madre, ma pratica la maternità come un hub, elemento centrale, concentratore, nodo di smistamento di dati che s’irradiano a stella nel cluster, la rete affiliata; è lei stessa la tecnologia che compie l’atto generativo del cluster. È in questo momento che viene prodotta la parentela radicale nella forma di una rete, non informata da ‘qualcosa di casuale come il sangue’”.

Le autrici della serie, le sorelle Wachoswski, si inseriscono nella tradizione sci-fi femminista, contaminandola con la svolta queer, che va intesa come

“la possibilità di procedere verso ciò che ancora manca, è l’atto performativo che produce il cambiamento, non come una fuga dal reale, ma come possibilità di cambiare la mappa delle relazioni”.

Una vera e propria decolonizzazione degli schemi patriarcali che continuano a perpetrarsi.
Di relazioni tra umani e tecnologie si occupano anche altri saggi, tra cui “Fare e (dis)fare il tempo: eco-cronopolitiche femministe” di Tiziana Terranova. Nello scritto, si passa dalla descrizione molto accattivante del film Conceiving Ada, di Lynn Hershsman Leeson, incentrato sulla storia – in parte romanzata – di Ada Lovelace, figlia di Lord Byron e della sorella di Mary Shelley, nonché crittografa e matematica, prima ad ideare la creazione di una macchina, una sorta di proto- computer, al lavoro del collettivo Laboria Cuboniks, “Manifesto Xenofemminista”, che si ripromette di creare un collegamento tra innovazione tecnoscientifica a un

“pensiero collettivo teorico e politico in cui le donne, i queer e coloro che non si conformano al genere giochino un ruolo senza precedenti”.

L’obiettivo di riappropriazione dello spazio tecnologico scopo dello xenofemminismo appare molto interessante: a partire da una visione femminista intersezionale, che quindi si opponga ad un non meglio precisato principio di naturalismo, propone un cambiamento sociale ad ampia scala,

“re- inventando tecnologicamente il luogo del lavoro femminile per eccellenza, la casa, trasformandola in una componente integrale della futurità femminista. Non una ‘smart home’ da riempire di nuovi gadget femminilizzati (come Alexa di Amazon) per ottimizzare la riproduzione del capitale umano, ma spazi condivisi in cui ospitare ‘laboratori, media e strumenti tecnici’ che permettano di ‘progettare accessi diseguali agli strumenti riproduttivi e farmaceutici’, implementando un modello di medicina gratuita e open source”.

L’idea di Femminismi futuri è quindi quella di tracciare le coordinate spaziali entro le quali il femminismo può e deve muoversi nel tempo presente. E tra questi luoghi, reali o virtuali che siano, quello nel quale l’attivismo si trasforma in azione, capillare e pervasiva, non può che essere l’arte,
in tutte le sue forme.

Come sottolinea correttamente Alessandra Ferlito nel suo scritto “Curatela e femminismo in Italia”, la relazione tra curatela e femminismo

“è tanto complessa da impedire qualsiasi semplificazione, poiché si tratta di un incontro conflittuale, spesso mancato, ‘represso’; ma tuttavia auspicabile, in virtù di quella ‘scena comune’ che, a partire da/e attorno a esso, può prendere corpo”.

Ma perché relazione difficile e conflittuale? L’autrice ci ricorda la diffidenza nutrita da talune attiviste degli anni ’60 e ’70 che, impegnate nel sacrosanto processo di smantellamento dello sguardo maschile con cui era stato costruito, nel tempo, lo stereotipo femminile, finì per creare una vera e propria separazione tra l’attivismo – l’attività politica femminista – e l’arte.

Separatismo che troverà la sua massima espressione nelle note posizioni di Carla Lonzi che espresse in più occasioni la necessità di

“sottrarsi al mondo dell’arte, in quanto prodotto del pensiero maschile”.

Nel suo Autoritratto, Carla Lonzi prese le distanze anche dal mestiere della critica d’arte, definendolo “fasullo”. Tuttavia, la sua posizione non divenne quella dell’intero movimento, e molte furono le artiste, anche sue contemporanee, che non disdegnarono il connubio tra arte e militanza fornendo, tra l’altro, una contro-narrazione rispetto a quella patriarcale.

Oggi questo incontro avviene in luoghi come il Matriarchivio del Mediterraneo, che

“unisce la teoria femminista e la pratica curatoriale per dare vita a un archivio on line in continuo divenire”.

Tutte le forme d’arte diventano il mezzo con cui esprimere la propria visione del mondo: basti pensare all’esperienza artistica di Chiara Fumai, che utilizza

“il linguaggio orale e la mimica corporea come strumenti di sovversione radicale […] Chiara Fumi rifiuta il vittimismo e la marginalizzazione; anzi, adotta il vocabolario della minaccia, dell’offesa, della rivolta, della violenza, per dare vita a situazioni scomode che possano generare un’opposizione ai discorsi dominanti del patriarcato occidentale”.

È dunque questa la vera sfida del femminismo – dei femminismi – odierni e di quelli futuri: non guardare con diffidenza alle modernità tecnologiche, capirne al contrario il funzionamento e utilizzarle come nuove piazze nelle quali poter continuare a spiegare il mondo dalla prospettiva egalitaria che ci si è prefissati.

Perché esattamente come diceva Donna Haraway già negli anni ’80 nel suo Manifesto Cyborg, bisogna utilizzare le tecnologie e i discorsi scientifici come strumenti per imporre significati.

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Sinossi

Nel vivo della ricerca su temi del presente che attraversano culture e discipline. Prodotti del confronto e del lavoro collettivo, ad alta densità di conoscenza ma di forte leggibilità Quali sono le domande che il pensiero, la ricerca e l’attivismo femminista del nuovo secolo pongono in una società insidiata da fantasmi e mostri dell’antropocene e attraversata dal progresso digitale e tecnologico?

Le devastazioni ambientali e le crescenti disparità ed esclusioni sociali sul nostro pianeta spingono a vivere politicamente in relazione agli altri, nell’atto di assumersi la responsabilità di un futuro collettivo.

Il tema della diaspora, dell’esilio e della fuga – della diversità che ne è origine e conseguenza a un tempo – attraversa molti degli scritti contenuti in questo volume: le autrici percorrono sentieri noti e inesplorati dell’immaginario letterario e artistico e quello delle nuove tecnologie e del mondo digitale, ponendoli in consonanza e intreccio tra loro, alla ricerca incessante delle voci della diversità, della resistenza, dell’opposizione alle pratiche oppressive, razziste e omofobiche del mondo attuale.

Tra letteratura, scienza, arte e attivismo digitale, dal cyber- e xeno-femminismo alla nuova ecologia di Donna Haraway: una lunga cavalcata tra romanzi fantastici e di fantascienza speculativa femminile, da Ursula K. LeGuin a Octavia Butler, Han Kang e Nnedi Ohorafor, fino alle artiste afrofuturiste che stanno disegnando un nuovo scenario, reale e immaginario, di possibili futuri a venire.

Una ricerca e una proposta del gruppo Femminismi futuri coordinata dall’anglista Lidia Curti.

Titolo: Femminismi futuri. Teorie. Poetiche. Fabulazioni
Autori: A cura di Lidia Curti, con Antonia Anna Ferrante e Marina Vitale
Edizioni: Iacobelli, 2019