“L’infinito” di Giacomo Leopardi
di Carolina Colombi
A cura di Carolina Colombi, Valentina Dragoni, Maria Lucia Ferlisi e Giulia La Face
“Sempre caro mi fu quest’ermo colle,
E questa siepe, che da tanta parte
Dell’ultimo orizzonte il guardo esclude.
Ma sedendo e mirando, interminati
Spazi di là da quella, e sovrumani
Silenzi, e profondissima quiete
Io nel pensier mi fingo; ove per poco
Il cor non si spaura. E come il vento
Odo stormir tra queste piante, io quello
Infinito silenzio a questa voce
Vo comparando: e mi sovvien l’eterno,
E le morte stagioni, e la presente
E viva, e il suon di lei. Così tra questa
Immensità s’annega il pensier mio:
E il naufragar m’è dolce in questo mare.”
È il 1819 quando Giacomo Leopardi, poeta per eccellenza, a soli 21 anni compone l’infinito, una delle liriche più suggestive del panorama letterario italiano.
Il componimento, formato da quindici endecasillabi sciolti, è la poesia più significativa della raccolta.
Ed è opera appartenente agli Idilli.
È il titolo a suggerire il tema trattato, dando alla poesia una connotazione di forte intimismo lirico-esistenziale.
A ispirare il Leopardi, giovane dalla profonda e sensibile interiorità, è la sommità del Monte Tabor. Colle sito in Recanati, luogo nel quale il poeta vede la luce nel 1798.
Per lui il colle rappresenta il luogo ideale dove riflettere. Ma soprattutto il posto dove dare pace alla sua mente, condizione non sempre facile da raggiungere, in virtù anche del suo cagionevole stato di salute.
Durante il percorso poetico de L’infinito il Leopardi trasmigra in una condizione mentale simile alla meditazione. Condizione tale da restituirgli una serenità che lo induce a esprimere differenti stati d’animo.
Sebbene il giovane si senta avvolto dalle braccia protettrici del paesaggio conosciuto, le quali lo circondano con amorevolezza, il panorama e la vista dell’orizzonte gli sono preclusi da una siepe.
Siepe che nell’Idillio assume fondamentale importanza, in quanto offre al poeta l’opportunità di nutrite riflessioni.
Seppur ostacoli la completa visibilità dell’apparato scenico, la siepe è elemento di rilievo nel contesto poetico, perché permette al Leopardi di entrare in un particolare stato di grazia, che portandolo a estraniarsi dal presente, lo induce a esplorare sensazioni suggeritegli dalla mente.
Ma non soltanto riflessioni della mente ne L’infinito.
Anche motivi di argomentazioni a cui da sempre l’uomo ha rivolto la propria attenzione: lo spazio infinito che circonda la terra.
Pertanto, immerso nell’infinità dell’universo, il Leopardi esterna il proprio sentire, a cui segue inevitabilmente un totale senso di smarrimento.
Allo smarrimento si avvicendano poi altre emozioni, fra loro contrastanti, ma che mettono il poeta davanti a interrogativi che lo conducono a interessanti speculazioni.
Le riflessioni su cui il Leopardi si sofferma riguardano lo spazio, il tempo e il silenzio, elementi che evincono con forza nella lirica leopardiana.
Lo spazio gli si pone in tutta la sua immensità.
Tanto da essere considerato dal poeta elemento imperscrutabile, che si può solo percepire, ma non comprendere.
Perché la comprensione dello spazio, dai confini indefiniti, non è prerogativa degli uomini.
Forse di qualcuno che sta al di sopra di essi e potrebbe aver provveduto a dar vita al creato.
Consapevole dei limiti umani, il poeta de L’infinito, ritiene che non sia possibile capire l’immensità dello spazio, ma solo intuirla.
Poiché all’uomo non è dato comprendere la grandiosità di ciò che lo circonda a causa dei limiti della sua mente.
Altra tematica affrontata è il tempo.
Con la mente il Leopardi ripercorre le ere geologiche che hanno attraversato la storia dell’umanità.
Ed è con questa nuova riflessione che percepisce, al di là della siepe, spazi senza confini.
I quali, insieme al profondo silenzio e alla pace assoluta che regnano intorno a lui gli suggeriscono il concetto di eternità.
Tutto ciò induce nel poeta un nuovo sgomento interiore, anche se intriso da una sorta di dolente dolcezza, simile a quella che si può provare perdendosi nell’immensità del mare.
In antitesi al passato, che gli richiama il principio dell’eterno, su cui il poeta si è già soffermato, gli si contrappone il momento attuale.
Il presente è da lui vissuto come effimero, perchè inghiottito dall’oblio.
Così come è accaduto per le ere geologiche ormai dissolte.
Immagini visive e uditive quindi, le quali sollecitate dall’intensità del paesaggio fanno dei versi de L’infinito una lirica di enorme suggestione emotiva.
L’immagine visiva più forte è proprio la siepe.
Quelle uditive sono invece rappresentate dal silenzio e dalla quiete del luogo, talmente profondi da sembrare colme di magia.
E poi dallo stormire del vento, che infilandosi fra i rami provoca un frastuono tale da riportare il poeta al presente.
Il rumore del vento è elemento difficilmente descrivibile per la potenza evocativa che imprime ai versi.
Nella prima parte della lirica emerge con forza l’elemento spaziale, dove si evidenzia nettamente l’infinita vastità che circonda il Leopardi, tale da comunicargli un senso di inquietudine.
Nella seconda parte de L’infinito, viene enfatizzata la riflessione introspettiva, attraverso espressioni quali “sempre cara e profondissima quiete” e “dove il naufragar m’è dolce in questo mar”.
In questa dimensione dell’anima, il poeta avverte un senso di appagante dolcezza che lo induce ad assaporarla, abbandonandosi a essa.
Quasi una sorta di soavità che scaturisce dall’umano abbandono.
Ed è proprio col verso “Naufragar m’è dolce in questo mar…” che il poeta paragona l’infinità del mare al completo annullamento del sé.
Esperienza dall’apparenza negativa, in realtà sensazione intrisa da una singolare forma di piacevolezza e mestizia insieme.
Quella compiuta dal Leopardi ne L’infinito, attraverso la sua meditazione, la si può considerare un’avventura dell’anima, che sfiora la parte più recondita della sua interiorità.
Ad accompagnare il poeta nei meandri delle sue riflessioni è il lettore.
Questi si fa suo compagno e vive una condizione emotiva che gli permette di avvicinarsi con maggior intensità alle sensazioni vissute dal Leopardi.
A fianco del vate, il lettore si fa anche spettatore del paesaggio che si dispiega agli occhi del Leopardi.
Condivide con lui ansie e speranze, contributi emotivi che fluiscono dall’intensità dei versi.
Che dire inoltre del viaggio che L’infinito può rappresentare?
Indubbiamente lo si può interpretare come un viaggio introspettivo e metaforico.
Un viaggio nell’interiorità di ciascuno, a volte ferita, a volte calpestata dalle vicende dolenti che scuotono le esistenze degli individui.
Ed è attraverso il viaggio, lo stesso compiuto da Leopardi, che l’uomo può tornare alle origini.
Lì, dove poter recuperare la dimensione del proprio IO.
IO abbandonato e dimenticato, e spesso intrappolato in una sequela di costrizioni, imposte dalla frenesia della vita moderna, le quali non lasciano il tempo per riflettere e guardare nella profondità dell’anima.
Questa lirica, breve, ma intessuta di un contenuto valoriale importante, si presta ad altre, numerose e personali interpretazioni.
In virtù, ovviamente, della sensibilità e dello stato d’animo del lettore.
Stato d’animo che differisce nelle diverse fasi e condizioni dell’esistenza di coloro che desiderano apprezzare la profondità de L’infinito.
A tale proposito, una interpretazione che corrisponde al mio sentire poetico.
L’infinito la si può considerare allegoria del bisogno umano di scoprire la vastità che va oltre i limitati confini del microcosmo di ciascun individuo.
Comparata all’odierna quotidianità, spesso convulsa e contradditoria, la lirica può essere spunto di considerazioni, tali da rintracciare nel significato poetico un’argomentazione di notevole contemporaneità.
Un’argomentazione contemporanea la quale incarna la necessità dell’uomo moderno di trovare una dimensione intima a lui più congeniale.
Nell’altrove, un luogo dove potersi riconciliare con la natura, troppe volte bistrattata, ma sempre disposta, come una madre benevola, ad avvolgere l’uomo nelle sue braccia carezzevoli.
Offrendo, pertanto all’uomo l’opportunità di pacificarsi con la natura.
Ma la lirica può suggerire anche altro.
Su imitazione del poeta, l’uomo può trovare l’occasione per soffermarsi.
Prendersi una pausa dal caos che la vita impone.
Meditare, entrando nella profondità dei propri sentimenti, in contatto con il proprio Sé.
Si può quindi intendere L’infinito come espressione della necessità di liberare se stessi dalla schiavitù imposta dal mondo a volte ingannevole.
Per rifugiarsi in un universo più profondo e più autentico.