Dove non mi hai portata di Maria Grazia Calandrone
Voce alle Donne
recensione di Emma Fenu
Dove non mi hai portata è un romanzo autobiografico di Maria Grazia Calandrone edito da Einaudi nel 2022.
Di cosa tratta Dove non mi hai portata?
Questa è una storia vera, riportata sui quotidiani e le riviste del giugno 1965.
Questa è la storia vera di una Italia con il ricordo e la polvere delle macerie, l’orrore visto e subito delle campagne in Africa e dei bombardamenti in Patria, la voglia di evolversi con le idee femministe e progressiste, la legislazione ancora conservatrice di un patriarcato che genera mostri, le note del twist, l’eco dei Beatles a far urlare di leggerezza, il reato di adulterio e abbandono del tetto coniugale, il razzismo contro i meridionali.
Questa è la storia di vera di Lucia, bambina, ennesima figlia femmina in un Molise che non era ancora regione a sè, nata in un’azienda agricola nella campagna di Palata, in provincia di Campobasso; là dove si vede il monte Amaro, dove Maia, primogenida delle Pleiadi, divenne pietra morta, dopo aver sepolto il figlio nel Gran Sasso.
Lucia cresce con le requisizioni dei tedeschi e campi prigionieri non estremi, pochi bombardamenti e le stragi civili, sfoghi dei perdenti in ritirata.
Viene iscritta a scuola a dieci anni, usufruendo di leggi che vogliono combattere l’analfabetismo, ma ci sono leggi più radicate per cui una bambina è un corpo da vendere per combinare matrimoni e affari e non importa se lei ama un altro, se lui è alcolizzato, fannullone e omosessuale, non importa neppure se è violento con le mani e le parole, non importa se devi solo essere schiava, pungolata dai forconi.
Non importa. Sei donna, sei moglie. E, sei non sei ancora madre, neppure funzioni: sei difettosa.
Nel 1962 Lucia conosce Giuseppe che, dopo aver lavorato a Roma, ora fa il capomastro a Palata.
E non importa se ha vent’anni più di lei, una moglie, figli di cui uno morirà per malattia. Non importe se è reduce di dieci anni di campagna d’Africa e non si sa cosa si porta dentro, non importa se gli piacciono troppo le femmine: Lucia e Giuseppe si innamorano e lei, dopo aver conosciuto il piacere del sesso, resta incinta.
Luigi, legittimo consorte, sporge denuncia e nessuno a Palata prende le difese di quella svergognata che ha avuto il coraggio di tradire alla luce del sole e di sfuggire alle botte andando a vivere dall’amante, anche quest’ultimo sposato con tutti i crismi. Ma la legge per lei, donna, è più severa: Lucia e Giuseppe sono due ricercati per scontare la pena di due anni di carcere.
Preso un treno per Milano, Lucia dà alla luce e una bambina e, per tutelarla, deve mentire, dichiarandola figlia del marito, che ovviamente non la riconosce. Nonostante la piccola sia sana, dopo almeno un mese viene data alla madre, per accertamenti sulla salute di una figlia illeggittima.
La sutuazione economica di Giuseppe subisce un tracollo, ma Lucia si rimbocca le maniche e si mette a lavorare, cerca aiuto perfino al suo primo fidanzatino che ora è espatriato pure lui.
L’aiuto le viene negato.
Il 24 giugno la coppia abbandona la figlia di 8 mesi e si suicida buttandosi nel Tevere. Il corpo di lei verrà riconosciuto, quello di lui no. L’identità della bambina verrà svelata attraverso una lettera che Giuseppe scrisse e Lucia firmò, in cui spiegava l’indigenza che la costringeva ad un gesto così estremo e prometteva di pagare con la vita tutti gli errori.
Non proseguirò nel narrare la storia. Ma nel 2021 la scrittrice, che è la piccola abbandonata e poi felicemente adottata, racconta il fatto con coinvogimento emotivo e lucido cipiglio da detective.
Perché Lucia, sotto il vestito, aveva il costume da bagno?
Si può ipotizzare un assassinio o un’induzione al suicidio?
Perché i dati anagrafici della piccola non erano appuntati su carta, con una spilla da balia sulla vestina?
Perché la bambina non è stata lasciata presso un convento o un ospedale?
Perché scegliere proprio Roma per compiere questo piano d’amore disperato?
A queste domande c’è risposta.
Ce ne sono alcune certe, altre sfumate. Ma non una che non dia voce, onore e amore a Lucia, che molto ha fatto per la sua bambina.
La ha tenuta legata a sè con una copertina, la ha allattata e cullata, ma in un posto, quello fluido della morte di acque nere, no. La ha lasciata andare al mondo, perchè trovasse braccia pronte.
Perché leggere Dove non mi hai portata?
Dove non mi hai portata è un romanzo che si fonda su una storia vera offrendoci uno spaccato reale e non edulcorato di un’Italia in preda alle contraddizioni e allo scontro fra idee e stereotipi, dove una violenza legalizzata e una subdola, che serpeggia di bocca in bocca, porta una donna che non tace, che non muore nell’anima, a morire nel corpo, quel corpo umiliato che ha dato la vita due volte e nella seconda ha fatto cambio con la propria.
Noi non dimenticheremo.
Link d’acquisto
https://www.ibs.it/dove-non-mi-hai-portata-libro-maria-grazia-calandrone/e/9788806257477
Sinossi
1965. Un uomo e una donna, dopo aver abbandonato nel parco di Villa Borghese la figlia di otto mesi, compiono un gesto estremo. 2021. Quella bambina abbandonata era Maria Grazia Calandrone. Decisa a scoprire la verità, torna nei luoghi in cui sua madre ha vissuto, sofferto, lavorato e amato.
E indagando sul passato illumina di una luce nuova la sua vita. Dove non mi hai portata è un libro intimo eppure pubblico, profondamente emozionante e insieme lucidissimo.
Attraversando lo specchio del tempo, racconta una scheggia di storia d’Italia e le vite interrotte delle donne.
Ma è anche un’indagine sentimentale che non lascia scampo a nessuno, neppure a chi legge.
Quando Lucia e Giuseppe arrivano a Roma è l’estate del 1965.
Hanno con sé la figlia di otto mesi, sono innamorati, ma non riescono a liberarsi dall’inquietudine che prova chi è braccato.
Perché Lucia è fuggita da un marito violento che era stata costretta a sposare e che la umiliava ogni giorno, e ha tentato di costruirsi una nuova vita proprio insieme a Giuseppe. Per la legge dell’epoca, però, la donna si è macchiata di gravi reati: relazione adulterina e abbandono del tetto coniugale.
Prima di scivolare nelle acque del Tevere in circostanze misteriose, la coppia lascia la bambina su un prato di Villa Borghese, confidando nel fatto che qualcuno si prenderà cura di lei.
Piú di cinquant’anni dopo quella bambina, a sua volta diventata madre, si mette in viaggio per ricostruire quello che è davvero successo ai suoi genitori. Come una detective, Maria Grazia Calandrone ricostruisce la sequenza dei movimenti di Lucia e Giuseppe, enumera gli oggetti abbandonati dietro di loro, s’informa sul tempo che impiega un corpo per morire in acqua e sul funzionamento delle poste nel 1965, per capire quando e dove i suoi genitori abbiano spedito la lettera a «l’Unità» in cui spiegavano con poche parole il loro gesto.
Dopo Splendi come vita, in cui l’autrice affrontava il difficile rapporto con la madre adottiva, Dove non mi hai portata esplora un nodo se possibile ancora piú intimo e complesso. Indagando la storia dei genitori grazie agli articoli di cronaca dell’epoca, Calandrone fa emergere il ritratto di un’Italia stanca di guerra ma non di regole coercitive.
Un Paese che ha spinto una donna forte e vitale a sentirsi smarrita e senza vie di fuga. Fino a pagare con la vita la sua scelta d’amore.