La figlia inutile di Laura Forti
Voce alle Donne
Recensione di Emma Fenu
La figlia inutile è un romanzo di Laura Forti edito da Guanda nel 2024.
Di cosa tratta La figlia inutile?
Partiamo dal titolo: La figlia inutile.
Perché può una figlia o un figlio esserlo?
Certo, come può essere il contrario, ossia estremamente utile. E davvero non so quale sia la condanna peggiore.
La figlia utile fra incarnare i desideri e i progetti dei genitori e degli avi, vive nella responsabilità di emularli e di conservarne il ricordo, quello fittizio e pattuito.
L’altra, Quella sbagliata, quella senza una missione, capitata per sbaglio, inutile, appunto, in una storia di famiglia e famiglie che risale al mito, che si contorce fra spasmi di dolore e scatti di ira e di fuga, nella continua rinascita di un popolo con memoria.
Laura Forti ci racconta la storia della sua famiglia partendo dalla nonna materna che, terzogenita, è stata lasciata da una balia in Francia e riportata in Italia, per ricongiungersi con la famiglia biologica, all’età di otto anni.
Ovviamente la bambina ha subito un duplice trauma di abbandono e distacco che è il proprio, ma rimette in scena quelli degli avi e si proietta su quelli dei discendenti, in uno scambio di sangue e cordoni ombelicali annodati a cappio o tranciati quasi del tutto. E questi abbandoni non saranno gli unici per la sensuale e passionale Elena.
La scrittrice si immerge nella ricerca e racconta con dovizia di dettagli, ma questo non è solo un romanzo storico.
Scrivere di quella piccola donna che le è simile nei tratti del viso e nelle curve del l’anima permette a Laura di conoscere la verità su di se stessa per guardarsi allo specchio e riconoscersi.
Oltre le vicende degli ebrei da fine Ottocento, oltre polgrom, riti, persecuzioni, successi, riscatti, fino al senso di dispersione di storia e pezzi di anima, La figlia inutile è una lettera.
Non è chiaro a chi sia rivolta, anche se ne ho un’idea, ma non è il destinatario il protagonista, lo è il mittente, la mittente, che attraverso la scrittura ricucisce brandelli, disfa falsi orditi, riannoda fili dispersi e disperati e crea le origini del tutto, le radici di ogni albero.
Seduta sul letto della nonna, mentre la seconda crea borse all’uncinetto con la plastica, anche Laura tesse la bellezza dell’affetto, un lusso per la famiglia di cui sono frutto, in una pace senza conflitti, senza il peso di verità taciute, ma lampanti. Senza l’utilità di volersi bene, ma con il desiderio di farlo, perché le reciproche ferite combaciano e i loro lembi si saldano, comprimendo il fluire del sangue.
Del resto, chi può raccontare la storia della propria famiglia senza “forse” e “può darsi”?
Anche se i propri avi non hanno attraversato continenti e oceani, come possiamo conoscere i loro sentimenti e sapere quanto sono stati sinceri o meno, perfino con se stessi?
Le mie nonne hanno avuto una vita apparentemente poco avventurosa, eppure i segreti di famiglia fanno parte anche del mio vivere e scrivere.
La scrittura cura drammi interiori e generazionali, riconnette con un passato che non si è vissuto ma che ci appartiene perché non nasciamo nel giorno del nostro compleanno, ma secoli prima, in altri ventri, infinite volte, mai inutilmente.
E la nostra utilità sarà la fertilità della scrittura che ci renderà custodi della storia e suoi liberatori.
La storia, infatti, va dispersa come le ceneri di un corpo, perché nel vento sussurri ancora, senza fine, che il passato non è mai tale.
Perché leggere La figlia inutile?
Perché è un racconto sincero, duro, spietato, e perciò struggente, di una donna, di due, di mille, di tutte.
Perché esce dallo stigma della storia del popolo ebreo per consegnarci un resoconto autentico, sentito, mai enfatico o lirico.
Perché, se vi siete sentiti figli utili o inutili, non farete fatica a entrare nelle pieghe, profonde, della vicenda.
Link d’acquisto
https://www.ibs.it/figlia-inutile-libro-laura-forti/e/9788823533295
Sinossi
Un’urna riposa solitaria in una tomba vuota, nella zona del cimitero ebraico destinata ai suicidi e ai casi ambigui.
Elena avrebbe desiderato che le sue ceneri fossero sparse nella Mosella, il fiume che amava. Ma la famiglia non ha rispettato la sua volontà e la nipote, a distanza di anni, capisce che in quel mistero c’è un nodo da sciogliere, un conto in sospeso con la memoria.
Nata in una famiglia di esuli russi che l’avevano lasciata a balia in Francia nei primi anni di vita, Elena era cresciuta ribelle e anticonformista, dispotica e generosa, amante dei gatti e delle tradizioni.
Per ricomporre le tante facce della sua identità, la nipote deve ripercorrere il cammino dei Dresner, le tappe di una integrazione di successo in Italia: le amicizie con il sionismo nascente dei Rosselli e dei Sereni ma poi perfino con Mussolini, la scalata del Credito Italiano.
Quando nel 1938, con le leggi razziali, i Dresner sono costretti di nuovo all’esilio, Elena, l’elemento emotivo, sensuale e vitale, dannoso per una famiglia che considera i sentimenti un lusso inutile, viene di nuovo abbandonata, proprio nel momento in cui il fascismo sta mostrando il suo volto più feroce.
La scrittura riempie la tomba vuota, restituisce fisicità e verosimiglianza a un fantasma, narrando una storia che attraversa l’Europa del Novecento ma è tutta italiana.