Gita al Faro di Virgina Woolf

Voce all’Atrove

a cura di Cynthia Collu

gita al faro

Gita al Faro di Virginia Woolf.
Tre volte che ci provo e finalmente ce l’ho fatta.

Due commenti a scelta.

Uno breve per quelli che non amano i rotoloni Regina, e uno più articolato per chi desidera approfondire.
In ogni caso, buona lettura (del libro, soprattutto).

1. Breve

Ultimamente desidero leggere dei classici considerati universalmente dei capolavori.
Ho iniziato questo libro senza troppo entusiasmo, e dopo una trentina di pagine ero già bell’e che stufa.
Ma qualcosa, una vocina, (la tua, Virginia?) mi diceva di proseguire, perché avrei trovato tanto, così tanta bellezza da rimanerne colpita e affondata.

Credo che per apprezzare questo romanzo bisogni avere tempo. Tempo e pazienza. La fretta non si addice alla Woolf. Il suo narrare così lento (senza che qualcosa accada veramente), è una continua riflessione sul come si è e sul perché si diventa così, sulla vita e sulle sue infingarde menzogne, sui rapporti umani e sulla loro complessità.

Lasciandosi andare al ritmo ipnotico e alle infinite ma profonde riflessioni dell’autrice, non si potrà che rimanere affascinati dalla bellezza della sua scrittura e dalla profondità del suo pensiero.
Consigliatissimo.

2. Rotolone Regina

COME PERIMMO, CIASCUNO DA SOLO (colpita e affondata)
Ultimamente desidero di leggere dei classici considerati universalmente dei capolavori.
Ho iniziato questo libro senza troppo entusiasmo, e dopo una trentina di pagine ero già bell’e che stufa.
Ma qualcosa, una vocina, (la tua, Virginia?) mi diceva di proseguire, perché avrei trovato tanto, così tanta bellezza da rimanerne colpita e affondata.
Il romanzo è strutturato in tre parti. Scena prima: attraverso una finestra perennemente spalancata possiamo osservare i personaggi – la signora Ramsay, il marito, i figli tra cui Cam (la Woolf da piccola), Lily Briscoe (la Woolf da grande) e tanti altri – muoversi come su un palco teatrale o un film a inquadratura fissa, ne sentiamo i pensieri (un flusso di coscienza spesso interminabile), li vediamo agire, cominciamo a capire chi sono e, soprattutto, cosa rappresentano per l’autrice.
La prima scena è quella della memoria: l’autrice ricorda l’infanzia di una Virginia bambina.
La madre, la signora Ramsay, è il centro attorno a cui ruotano tutti gli altri personaggi. Bellissima eppure noncurante della sua bellezza che incanta, capace di sottomissione verso un marito sempre incombente, iroso e malinconico, detestato e amato dai figli – la signora Ramsay dispensa attorno a sé la sua positività, manipola inconsapevolmente (o forse no) le persone che le ruotano attorno, gli ospiti della casa, esortandoli spesso al matrimonio, il tempio protetto in cui lei ha trovato rifugio impedendosi ogni tentativo di autonomia e di ribellione.
Sin dal grandioso incipit siamo davanti alla finestra, osservando la signora Ramsay e il figlioletto James.
“Sì, certo, se domani fa bel tempo” disse la signora Ramsay “però dovrai essere in piedi con l’allodola” aggiunse.
Si sta rivolgendo a James, il figlioletto di sei anni, che tanto desidera fare la gita al faro che dà il titolo al romanzo.

Questa gita al faro, per intromissione brutale e indifferente del padre, non si farà. “Ma” disse suo padre fermandosi davanti alla finestra del salotto, “non sarà bello.” E James inizierà a odiarlo con tutte le sue forze.

Eccolo qui il tiranno, il despota forse inconsapevole che pretende sottomissione e poi amore, che ridicolizza e sgrida, che si lascia andare a scatti d’ira scaraventando una ciotola di latte fuori della finestra per poi chiedere conferma alla moglie di essere sempre amato, e la cerca, da lontano, terribile e ululante come un lupo.
La seconda parte – la più difficile da scrivere, disse poi Virginia – è uno stretto passaggio che unisce la prima (l’infanzia) all’ultima, dove finalmente questa gita – simbolo di crescita e soluzione dei problemi dei personaggi – si porterà a compimento.
Sono passati dieci anni. La casa è stata abbandonata. Il giardino è incolto. La signora Ramsay è morta. In questa casa, che guarda con occhi vuoti, tutto parla di morte e di abbandono.

I Ramsay hanno deciso di fare la gita al faro rimandata nel tempo, e chiedono alle due donne che hanno in cura la casa (due personaggi del tutto in antitesi con la ieratica curatrice di un tempo, la signora Ramsey) di sistemarla.

L’assenza/presenza della signora Ramsay diventa dolorosa persino per gli oggetti che lei toccava; è sicuramente la parte più ostica del romanzo, ma io l’ho trovata straordinariamente bella, perché la Woolf riesce a farci vedere la morte e l’abbandono attraverso la descrizione di questa casa, che ne diventa il vero personaggio.
Finalmente, nella terza parte, si sciolgono tutti i nodi.

La gita al faro si compie mentre il signor Ramsay sulla barca declama il suo ritornello preferito, Come perimmo, ognuno da solo, e intanto schiaccia un pesce agonizzante, e James, ormai sedicenne che ha guidato da marinaio provetto la barca, viene finalmente lodato dal padre e fa pace con lui, superando il complesso di odio e amore nei suoi confronti.

E Lily Briscoe (la Woolf da grande) una pittrice che dieci anni prima, vedendo la signora Ramsey e il piccolo James alla finestra aveva deciso di ritrarli senza però mai riuscire a finire il quadro, finalmente traccia la linea risolutiva e porta a compimento la sua opera (ossia metaforicamente la scrittura dell’autrice) risolvendo così il suo lutto per la perdita della madre.

Credo che per apprezzare questo romanzo bisogni avere tempo. Tempo e pazienza. La fretta non si addice alla Woolf. Il suo narrare così lento (senza che qualcosa accada veramente), è una continua riflessione sul come si è e sul perché si diventa così, sulla vita e sulle sue infingarde menzogne, sui rapporti umani e sulla loro complessità.

Lasciandosi andare al ritmo ipnotico e alle infinite ma profonde riflessioni dell’autrice, non si potrà che rimanere affascinati dalla bellezza della sua scrittura e dalla profondità del suo pensiero.
Consigliatissimo.
Link d’acquisto

gita al faro

https://www.ibs.it/gita-al-faro-libro-virginia-woolf/e/9788811360889

Sinossi

«Sì, di certo se domani farà bel tempo – disse la signora Ramsay – ma bisognerà che ti levi al canto del gallo».

Attacca così, in minore, il capolavoro della Woolf, pubblicato nel 1927.

A lungo agognata e vagheggiata, ma di continuo rinviata, la gita al faro che la protagonista cerca invano di organizzare per il figlioletto e la nutrita schiera dei suoi ospiti unisce come un filo simbolico i tre pannelli temporali in cui è scandita la narrazione.

Più che l’inclemenza del tempo saranno il destino, la guerra, i lutti a frapporsi alla realizzazione del progetto.

E quando, dopo tanti anni, abbandonati i timori ma anche le speranze, il piccolo miracolo della gita si compirà, a sarà più come prima. Magistrale nel sondare emozioni e sussulti interiori, questo romanzo che affonda le radici nel vivo della carne dell’autrice ci immerge nel rumore lento della vita, nell’impercettibile trascorrere delle ore e delle stagioni, nel flusso disordinato dei pensieri che affollano la mente dei personaggi, e ci consegna con grazia e levità una straziante meditazione sul mistero della vita e della morte.

Introduzione di Attilio Bertolucci.

Titolo: Gita al Faro
Autore: Virginia Woolf
Edizione: Garzanti, 2003 (pubblicato per la prima volta nel 1927)

 

 

Postilla della presidente: ci prendiamo la libertà di definire recensioni anche l’analisi di opere datate o addirittura di classici solo per una facilità nella consultazione del sito. Che la Woolf non gareggia per i più venduti della settimana, lo sappiamo. Ahimè.