Il silenzio delle ragazze di Pat Barker
Voce al Sogno
Recensione di Tiziana Tixi
Il silenzio delle ragazze è un romanzo mitologico di Pat Barker scritto nel 2018 e riedito da Einaudi
nel 2019.
Di cosa tratta Il silenzio delle ragazze?
Nel nono anno della guerra di Troia, Lirnesso sta per cadere. Gli Achei premono fuori dalle mura, il grido di Achille risuona potente fin nel cuore della città. Confusa tra le donne in fuga verso la cittadella, una ragazza di diciannove anni ne condivide paure e incertezze.
Non è una ragazza qualsiasi, è Briseide, la moglie del re Minete.
Il silenzio delle ragazze è un dolente monologo di Briseide strutturato sull’analessi; ella ricorda il tempo in cui la sua storia fu intrecciata con quella di Achille.
La caduta di Lirnesso segna una cesura nella vita della giovane che inizia il racconto da quel giorno funesto. Le donne si sono rifugiate nella torre; un rumore di legno frantumato annuncia loro che la porta della città è stata abbattuta. Gli Achei dilagano per le vie, pronti al massacro.
Affacciata al parapetto della torre, Briseide assiste allo sterminio della propria famiglia perpetrato da Achille: il primo a cadere sotto l’inesorabile spada del Pelide è Minete, poi è la volta dei tre fratelli.
La città si riduce a un cimitero, sul selciato scorrono rivoli di sangue.
Terminato anche il saccheggio, gli Achei conducono le donne sulla spiaggia come prigioniere di guerra; le navi sono pronte a salpare strappandole per sempre alla loro terra natia. Immobile sul ponte, Briseide rivolge l’ultimo sguardo alla sua gloriosa città; il ricordo che di essa conserverà è quello di una selva di
fiamme.
Nell’accampamento acheo le donne vengono assegnate ai guerrieri; Briseide è il premio attribuito proprio al carnefice dei suoi cari, Achille, il quale ai suoi occhi è solo un macellaio. La ragazza deve soffocare odio e repulsione perché ormai è una cosa sua e una cosa non può provare sentimenti; deve solo obbedire al padrone.
Una parte di Briseide muore la prima notte trascorsa nel letto di Achille; la sua vita non le appartiene più, il suo stesso corpo non le appartiene più.
Nell’ottundimento dell’alienazione, la percezione del tempo è alterata; i giorni si espandono e si contraggono, fino a quando Briseide raggiunge un equilibrio. Di giorno tesse, la sera serve durante le cene di Achille, la notte ne subisce gli abusi.
Ella prega incessantemente affinché qualcosa cambi; gli dèi accolgono le sue suppliche ma, capricciosi come sono, le esaudiscono a modo loro. Crise, anziano sacerdote di Apollo, si presenta nell’accampamento per chiedere ad Agamennone la restituzione della figlia Criseide.
A nulla valgono le parole accorate del padre, a nulla la sua dignità sacerdotale. Perfino davanti ai nastri rossi del dio, annodati al bastone di Crise, Agamennone non cede; respinge duramente le suppliche e caccia con arroganza l’anziano, arrivando a sfidare Apollo.
Il sacerdote lascia stancamente il campo, mormorando poi gridando al cielo la sua invocazione al dio delle pestilenze. Quella preghiera arriva alle orecchie di Briseide che, senza rendersene conto, la sente sgorgare anche dalle proprie labbra.
La vita riprende monotona ma Apollo non è rimasto sordo; ha aspettato che si compissero i tempi poi ha scoccato il dardo della pestilenza con il suo arco d’argento. Animali e uomini vengono falcidiati; l’ospedale è gremito e le pire ardono incessantemente.
L’indovino Calcante annuncia che il morbo è la vendetta di Apollo contro Agamennone; l’unico modo per placare la collera del dio è che Criseide venga restituita al padre. L’Atride è costretto a scendere a patti ma non intende restare senza premio; vuole Briseide.
Monta l’ira funesta di Achille; deve cedere il suo premio? E sia. Ma non combatterà più; la guerra proseguirà senza di lui, troppo grave l’oltraggio al suo onore. Briseide è smarrita; aveva trovato stabilità e stretto amicizia con Patroclo il quale le aveva promesso che avrebbe convinto Achille a sposarla.
Agamennone abusa di lei solo una volta, poi lascia che il suo compito sia quello di servire ai banchetti e mostrarsi. Per lui Briseide è solo un trofeo da esibire per ostentare la propria potenza: egli è il re dei re, davanti al quale anche il divino Achille deve prostrarsi.
Dopo le prime vittorie gli Achei cominciano a perdere terreno; l’assenza del piè veloce provoca un’emorragia tra le fila greche. Odisseo e Nestore costringono Agamennone a guardare la nuda realtà; per il bene dei loro uomini e in nome della vittoria, egli deve mettere da parte l’orgoglio e restituire Briseide ad Achille che, placato, tornerà a combattere.
I due sovrani non hanno fatto i conti con la coriacea ostinazione del Pelide che non intende tradire il giuramento di ritirarsi dalla guerra. Rifiuta Briseide e le generose offerte di Agamennone; piuttosto esige che quest’ultimo gli chieda personalmente perdono per l’onta che gli ha arrecato.
L’Atride non è disposto a tanto ma gli Achei sono a un passo dalla disfatta; è necessario agire d’astuzia perciò Odisseo e Nestore esortano Patroclo a combattere come sostituto di Achille alla guida dei mirmidoni e gli raccomandano di indossarne l’armatura per ingannare i troiani. Il giovane non si sottrae a quello che sente come un dovere morale; persuadere il Pelide è facile perché in cuor suo egli vorrebbe cedere al richiamo della guerra e al grido di aiuto dei compagni ma è prigioniero del suo stesso giuramento.
Lascia che l’amico sia il suo doppio ma pone una condizione: non dovrà assolutamente sfidare Ettore. Patroclo promette ma, esaltato dal furore del combattimento, osa l’inosabile e viene ucciso da Ettore.
Il dolore di Achille è accecante; nessun giuramento, nessun orgoglio può trattenerlo: non avrà pace finché non avrà vendicato il giovane.
Prima di tornare a combattere si profonde in una dura arringa contro Briseide, responsabile delle sventure achee e della morte di Patroclo, e si riavvicina ad Agamennone il quale gli restituisce la ragazza che torna nel recinto di Achille.
Per cinque giorni egli miete vittime e, metà bestia e metà dio, cammina verso la gloria, spargendo sangue e cervella. La quinta mattina le donne vengono raggiunte dal grido straziante delle troiane: Ettore è morto.
Achille trascina per tre volte il corpo, legato al carro, intorno alle mura di Troia, poi lo lascia nelle scuderie dell’accampamento. Ridotto a un grumo sanguinante, ogni giorno il cadavere riacquista l’integrità e ogni giorno Achille ne perpetua lo scempio.
Egli ha mantenuto le sue promesse: ha ucciso Ettore, ha dato a Patroclo funerali solenni; forse sperava di alleviare il dolore, ma il dolore non sente ragioni, non accetta sacrifici, anzi diventa più lancinante.
Una notte Priamo si introduce nel campo; il re si fa misero orante, abbraccia le ginocchia dell’assassino del figlio, come nessuno ha mai fatto prima, e si appella all’amore che Achille nutre per il padre. È disarmato, non ha portato con sé nemmeno un pugnale; il Pelide, toccato nel profondo, gli concede il conforto di dare a Ettore degna sepoltura, gli offre ospitalità per la notte e lava il cadavere insieme a Briseide, alla quale lascia il compito di comporlo come si conviene.
Tormentata dai dubbi, ella decide di osare; la partenza di Priamo è un’occasione irripetibile per fuggire. Si nasconde sul carro stringendosi al corpo di Ettore; il mulo sfila lentamente davanti ad Achille, nella testa di Briseide un turbinio di pensieri e, alla fine, ella sceglie. Balza a terra, si allontana in fretta verso il campo e rientra nel recinto di Achille, il quale sapeva, sa ciò che ella stava per fare; eppure non l’avrebbe fermata, l’avrebbe lasciata andare.
Il loro rapporto acquista una nuova sfumatura, un tepore pallido e sconosciuto; il Pelide è cambiato: il pensiero che entro poco tempo si ricongiungerà per sempre con Patroclo ha mitigato il suo dolore.
Sa che la morte annunciata da una profezia è vicina, la sua vita non si misura più in settimane ma in giorni.
Briseide è incinta; Achille capisce che il proprio futuro inesistente in qualche modo esiste, non ne è padrone ma è comunque suo. Quell’embrione di futuro lo sfiora mentre egli sfiora la fine e allora si preoccupa di assicurare la tranquillità a chi resta. Dà Briseide in sposa al fedele amico Alcimo, il quale sarà un buon marito e avrà cura del bambino — questa la promessa che l’eroe sussurra tenendole il mento tra le dita.
Poche ore dopo la notizia della morte di Achille rimbomba el campo, ruggisce nelle sue stanze vuote. Il figlio Pirro si unisce all’esercito e uccide Priamo; Troia cade, la guerra è finita. Gli Achei possono tornare a casa ma Agamennone ritiene necessario assicurarsi il favore di Achille con un generoso tributo affinché, dagli Inferi, non ostacoli il viaggio.
Polissena, la più bella delle figlie di Priamo, viene sacrificata davanti al suo tumulo; Briseide assiste al rito, la vede porgere fiera la gola alla lama di Pirro. Le navi sono pronte a salpare; mentre Alcimo la aspetta per salire a bordo, la moglie si congeda da quella terra con un gesto di pietas verso Polissena che ha preferito la morte alla schiavitù.
Briseide ha scelto la vita e ne è felice. Ora può iniziare la sua storia.
Perché leggere Il silenzio delle ragazze?
Il silenzio delle ragazze è la storia di Briseide o è forse la storia di Achille? La giovane narra anche di sé, certo, eppure le prime parole del suo racconto riguardano lui, Achille simile a un dio, Achille piè veloce.
Egli è un gigante che proietta un’ombra entro la quale Briseide si ritrae; da quel cantuccio ella assiste alle gesta eroiche del guerriero e osserva, studia, intuisce pensieri e stati d’animo dell’uomo.
La storia di Briseide finisce dunque per confluire nell’alveo della storia di Achille; ella sviluppa un radicamento che la rende incapace di immaginarsi altra e altrove. La rinuncia alla fuga è dettata dal senso di appartenenza; Briseide non ama, non può amare il macellaio che ha sterminato i suoi cari ma sa che, se recidesse il filo che la unisce a lui, non avrebbe più un posto nel mondo.
Vivendo con il padrone, ascolta brandelli delle sue conversazioni, raccoglie i suoi umori, condivide il suo letto e arriva a conoscere l’Achille segreto. Il silenzio delle ragazze propone un’immagine inedita del Pelide; Briseide mette a nudo aspetti che urtano con il mito dello splendente eroe che aveva travalicato i confini dell’Ellade.
Invincibile in battaglia, egli è un uomo vinto da un senso di abbandono che affonda le radici nell’infanzia: aveva solo sette anni quando la madre, Teti, lasciò la reggia di Peleo. Quel vuoto brucia ancora; ogni notte Achille si tuffa tra le onde per farsi abbracciare da lei ma poi, quando la ninfa appare, la sua presenza lo dissangua e, estenuato, desidera solo che ella torni in fretta negli abissi.
L’incontro con Patroclo avvenne dopo la fuga di Teti; egli colmò la solitudine di Achille, diventò suo amico e fratello, prese il posto della madre. L’amore per Peleo, rafforzato dalla comune perdita, ispira ad Achille la pietas verso Priamo.
Spietato in battaglia, si ammorbidisce davanti a quel vecchio re inerme e fragile come un giunco che trae vigore dal lutto per il figlio. Agamennone, tracotante e spergiuro, non avrebbe rispettato la sacralità dell’ospite e lo avrebbe ucciso con viltà.
Nel destino di Briseide si specchiano i destini di tutte le donne fatte prigioniere; per loro il passaggio nelle mani dei padroni equivale alla morte: devono dimenticare chiunque siano state, qualunque vita abbiano vissuto. Briseide però si rifiuta di dimenticare; vuole, deve ricordare perché la memoria le permette di non sbiadire nel nulla.
“Restare aggrappata a un passato che non esisteva più non mi avrebbe portato niente di buono. Io però mi ostinavo a farlo, perché in quel mondo perduto ero stata qualcuno, una persona con un posto preciso nella vita. Se lo avessi lasciato andare, avrei detto addio all’ultimo frammento di me stessa.”
Plasmate dalla mentalità degli uomini, le donne sanno che si addice loro il silenzio. Allora tacciono.
Tacciono quando subiscono gli abusi dei padroni, quando devono giacere con l’assassino del proprio marito, quando vengono calpestate. La loro presenza silenziosa però è l’anima di quell’universo maschile; sono le donne ad accompagnare gli uomini nell’ultimo viaggio, a chiuderne per sempre gli occhi fissi nel nulla della morte, così come li accompagnano quando si affacciano alla vita dal grembo materno.
Quelle donne silenziose assicurano una discendenza ai padroni; nasceranno bambini greci che ricorderanno le ninnenanne troiane delle loro madri. E così, grazie alle donne, anche Troia continuerà a vivere.
Link d’acquisto
https://www.ibs.it/silenzio-delle-ragazze-libro-pat-barker/e/9788806241025
Sinossi
Quando Lirnesso viene conquistata dai Greci, Briseide, sopravvissuta al massacro della sua famiglia, viene portata via dalla città come un trofeo e consegnata ad Achille.
A diciannove anni diventa concubina, schiava, infermiera, assecondando qualunque necessità dell’eroe splendente. Ma non è sola. Insieme a lei innumerevoli donne vengono strappate dalle loro case e consegnate ai guerrieri nemici.
Ed è così che confinate nell’accampamento — e nella tenda di Achille — Briseide e le sue compagne assistono alla guerra di Troia e raccontano ciò che vedono. Da Agamennone a Odisseo, da Achille a Patroclo, da Elena a Briseide, Pat Barker costruisce un romanzo memorabile e sovversivo in cui dà finalmente voce alle donne relegate nelle retrovie della Storia.
“Il grande Achille. Il luminoso, splendido Achille; Achille simile a un dio. Ma Achille, per noi, era solo un macellaio.”