Una Fimmina calabrese di Paolo De Chiara
recensione di Gianna Ferro
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Una Fimmina calabrese -così Lea Garofalo sfidò la ‘ndrangheta- è un saggio-inchiesta di Paolo De Chiara, edito da Bonfirraro nel 2022.
“Si muore generalmente perchè si è soli o perchè si è entrati in un gioco troppo grande. Si muore spesso perchè non si dispone delle necessarie alleanza, perchè si è privi di sostegno” Giovanni Falcone
Di cosa tratta Una Fimmina calabrese?
“Questa è la storia di Lea Garofalo, la donna-coraggio che si è ribellata alla ‘ndrangheta, che ha tagliato i ponti con la criminalità organizzata. Nata in una famiglia mafiosa,ha visto morire suo padre, suo fratello, i suoi cugini, i suoi parenti, i suoi amici, i suoi conoscenti. Un vero e proprio sterminio compiuto da uomini senza cuore, attaccati al potere e illusi dal falso rispetto della prepotenza criminale.”
Lea Garofalo nasce in Calabria, a Petilia Policastro il 24 aprile 1974, anni in cui la regione è in piena guerra di mafia. L’affermazione di un sistema criminale porta sangue e morte. La ‘ndrangheta è un’organizzazione apparentemente poco pericolosa, grossolana, indirizzata soprattuto a sequestri di persona, ma che cova sotto la cenere di cadaveri lasciati da Cosa Nostra, dalla Mafia siciliana e dalla Camorra napoletana. Approfitta proprio di questa lotta Stato-Mafia per estendere le proprie radici al Nord, soprattutto in Lombardia.
Il papà di Lea aveva giurato fedeltà all’organizzazione, ma aveva chiesto di non volere vittime in paese e che nello stesso non entrasse droga: fu ucciso quando lei aveva solo otto anni. Il fratello Floriano prenderà il suo posto. Un legame molto stretto tra i due, ma lei non si lascerà mai convolgere nelle sue attività criminali.
Ha sedici anni, Lea, quando fa la “fuitina” con Carlo Cosco, conosciuto tre anni prima, ma i suoi familiari non approvavano questa unione. A diciassette, Lea partorisce Denise.
“Le cose però non vanno bene. Lea non ha immaginato questa vita […] la sua mentalità non è criminale […] nata tra i morti ammazzati, desidera una vita diversa. Accanto a lei vede un uomo violento, incapace di amare, proiettato ai vertici della ‘ndrangheta, impegnato nella sua attività criminale. Non ama Lea, vuole scalare l’organizzazione grazie alla “protezione” della famiglia Garofalo.”
Cosco è un aspirante capo ed è lo stesso uomo che prenderà parte all’omicidio di Floriano, il fratello di Lea. Milano diventa la piazza di criminali affari della ‘ndrangheta a cui fa capo proprio il Cosco, e dove trasferisce moglie e figlia.
Sono anni, quelli novanta, che lasciano una lunga scìa di sangue, anni in cui gli “affari” vanno bene e la scalata al potere si stava compiendo.
Lea, che era fuggita dalla Calabria pensando di trovare una vita diversa a Milano, si ritrova intrappolata nella stessa vita violenta e quando Cosco viene arrestato, per scontare dei reati legati al traffico di stupefacenti, lei decide di lasciarlo. Glielo comunica durante un colloquio in carcere, in cui lui l’aggredisce violentemente, ma lei lo umilia davanti agli altri detenuti, cosa che Cosco non dimenticherà.
Lea con Denise si trasferisce a Bergamo, ospitata dalle suore, ma nonostante questo allontanamento, non viene mai lasciata in pace dall’ex convivente, che vuole vedere sua figlia.
Il comportamento di Lea contrasta con tutte le “regole” mafiose, perchè ha avuto il coraggio di lasciare un uomo come Cosco, portandogli via la figlia, facendolo diventare un fenomeno da baraccone davanti ai suoi uomini. Questo, Carlo Cosco “guappo di cartone” non lo poteva accettare.
Lasciarlo è servito a poco, perchè lui sa sempre come raggiungerla. L’unica strada è quella di collaborare con la giustizia. È il 2002 quando Lea con Denise, decide di entrare nel programma di protezione e racconterà al magistrato tutto quello che sa.
“La donna di Carlo ha scelto di collaborare con la giustizia e di rivelare molti episodi che possono mettere a repentaglio il disegno criminale dell’intera “famiglia”.[…] La donna non si è accontentata di troncare la relazione, di contravvenire alle regole dell’organizzazione, con la sua condotta sta distruggendo il piano del suo ex convivente. È un pericolo per il clan.”
Dal 2002 al 2009 Lea e Denise restano nel programma di protezione, cambiando spesso città. Lunghi anni solitari, di forte depressione per Lea, che sentiva, sempre, il fiato di Cosco sul collo. Anche le istituzioni la definiscono una “collaboratrice” e non una “testimone “ di giustizia, tanto da sentirsi trattata come una mafiosa.
Decide, allora, che quella non era vita, soprattutto per sua figlia, vorrebbe parlare con Carlo e chiedergli di lasciarla in pace. In tutti questi anni in cui il clan Cosco si è ramificato nella Milano mafiosa, Carlo ha sempre cercato di sapere dove fosse nascosta Lea e sua figlia. Lui non dimentica, è ossessionato dalla sua ex.
Nel 2009 esce dal programma di protezione. Ritorna in Calabria e chiede alla sorella Marisa di contattare Cosco, perchè vuole che la figlia Denise completi l’anno scolastico e lui si offre di affittare una casa per loro a Campobasso, ultima città in cui le due donne avevano vissuto. Ecco che inizia l’opera di riavvicinamento di Carlo Cosco ed è qui che i suoi uomini tentano per la prima volta di rapire Lea, ma il suo piano fallisce.
Lea capisce che ancora una volta non è al sicuro e chiede di poter rientrare nel programma di protezione. Cosco vuole vedere sua figlia e invita le donne a Milano.
“Questa volta non può sbagliare. Lea deve morire.[…] Il piano scatta nel momento in cui la sua ex convivente accetta di raggiungerlo, insieme alla figlia, a Milano. Nella tana del lupo.”
A Milano di Lea Garofalo si persero le tracce la sera del 24 novembre del 2009. Rapita, interrogata, uccisa e poi bruciata dal clan ‘ndranghetista capeggiato da Carlo Cosco.
“Tatangelo(pm) parla di “crudeltà” e “pervicacia”: <<Tutti gli imputati hanno commesso i reati a loro contestati. Chi non ha premuto il grilletto non si differenzia dagli altri, non è certamente migliore.[…]È orrendo pensare ad una donna immobilizzata, legata, terrorizzata, torturata e poi uccisa.[…]Vi chiedo di dare giustizia a lei e a chi la piange…i colpevoli hanno un nome e cognome: quello degli imputati[…] Nessuna attenuante a questi vigliacchi.>>”
Perchè leggere Una Fimmina calabrese?
Questo libro non è una storia È LA STORIA.
In queste pagine Paolo De Chiara mette nero su bianco tutta l’omertà, la vergogna e il fallimento dello Stato in questa triste pagina italiana. Qui c’è il disperato aiuto di una donna che scrive il suo memoriale in una lunga lettera rivolta al Capo dello Stato, dichiarando tutta la sua solitudine. Forze dell’ordine, avvocati, magistrati avevano raccolto le testimonianze di Lea, la sua disperazione e tutti erano consapevoli, anche lei stessa, che la sua esecuzione sarebbe avvenuta prima o poi.
Lea Garofalo una donna condannata per aver scelto di essere una persona libera e onesta, di aver combattuto per dare un futuro diverso a sua figlia Denise: forza, passione, coraggio non è stato mai ripagato.
Le sue parole, la sua testimonianza non hanno mai aperto processi. Negli atti ufficiali veniva chiamata “collaboratrice di giustizia”, mettendola alla pari con i pentiti mafiosi.
“Una dichiarazione inutile. La donna in vita non è mai stata ritenuta credibile. Da nessuno. Solo dopo la sua morte hanno utilizzato le sue dichiarazioni.”
Una Fimmina calabrese è un libro di denuncia, di riflessione, di accusa, ma anche di formazione. Atti processuali, interviste, intercettazioni, dichiarazioni, da parte degli stessi criminali e la vita disperata di Lea, raccolto tutto in queste pagine che ci rimandano un paese, il nostro, senza memoria e di discutibile credibilità. Lea è stata lasciata sola con la tragica contezza che la sua vita era segnata, ma non si è mai arresa, lo Stato sì.
Tutto questo e tanto altro ancora Paolo De Chiara racconta in questo libro, arricchito dalla prefazione del magistrato Sebastiano Ardita e dalla postfazione del giornalista Cesare Giuzzi.
Consiglio la lettura di Una fimmina calabrese soprattutto nelle istituzioni scolastiche, per sensibilizzare la coscienza dei più giovani. È giusto leggerlo per Lea, per darle giustizia, quella che in vita non è riuscita a ottenere.
Lea Garofalo ha lottato anche per noi, mai dimenticarlo.
“La cosa peggiore è che conosco già il destino che mi spetta, dopo essere stata colpita negli interessi materiali e affettivi arriverà la morte! Inaspettata, indegna e inesorabile…” Lea Garofalo
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Sinossi
Questa è la storia di Lea Garofalo, la donna-coraggio che si è ribellata alla ‘ndrangheta, che ha tagliato i ponti con la criminalità organizzata.
Lea ha conosciuto la ‘ndrangheta da vicino: come tante donne, ha subìto la violenza brutale della mafia calabrese. Ha denunciato quello che ha visto, quello che ha sentito: una lunga serie di omicidi, droga, usura, minacce, violenze di ogni tipo. Ha raccontato la ‘ndrangheta che uccide, che fa affari, che fa schifo! È stata uccisa perché si è contrapposta alla cultura mafiosa, che non perdona il tradimento – soprattutto – di una fimmina.
A 36 anni è stata rapita a Milano per ordine del suo ex compagno, dopo un precedente tentativo di sequestro in Molise, a Campobasso. La sua colpa? Voler cambiare vita, insieme a Denise. Per la figlia si è messa contro il convivente, i parenti, il fratello Floriano. In questo Paese «senza memoria» lo Stato dovrebbe vergognarsi per come ha trattato e continua a trattare questi cittadini onesti, che hanno semplicemente fatto il proprio dovere.
Gli esempi non possono essere accatastati. Devono poter sbocciare come candide rose, per inebriare le nostre menti delle loro passioni, della loro forza e del loro immenso coraggio. Senza dimenticare i familiari delle vittime, nemmeno loro possono essere lasciati soli. Le mafie, sino a oggi, hanno ucciso più di 150 donne. Solo grazie alle fimmine è possibile immaginare un futuro diverso per questo Paese, un futuro senza il puzzo opprimente di queste organizzazioni criminali, che possono tutto per la loro immensa potenza economica e militare.
Per i loro legami secolari con la politica e le Istituzioni. Con Lea e con Denise non hanno potuto nulla. Prefazione di Sebastiano Ardita. Postfazione di Cesare Giuzzi.