Le donne che non denunciano la violenza sono vittime non colpevoli
Voci di Bambine Cattive senza stereotipi
A cura di Maria Ilenya Trozzolo
Le donne che non denunciano la violenza sono vittime non colpevoli – 25 novembre.
Laura prende il foglio tra le mani e comincia a leggere ad alta voce:
“In una ricorrenza come questa mi chiedo a cosa siano serviti milioni di anni di evoluzione se abbiamo bisogno di una giornata mondiale per ricordare che esistono mariti, fidanzati, padri, fratelli, zii, amici che uccidono le loro mogli, figlie, fidanzate, sorelle, nipoti e amiche.
Le uccidono, perché? Perché queste donne vorrebbero essere quello che sono. Ma perché, in vari casi, non denunciano la violenza?
E invece, vengono brutalmente cancellate dalla faccia della terra perché hanno osato dire di NO.
no, non voglio stare più con te.
No, non voglio sposare l’uomo che hai scelto per me.
No, non voglio venire a letto con te, no, voglio il divorzio.
No, non voglio portare il velo se non lo scelgo io..
No, non ti lascio i miei soldi.
I loro assassini sono uomini che non accettano un rifiuto.
Sono uomini che pensano di avere un
diritto di possesso su un altro essere umano.
Sono uomini che dicono: «Togliti quel rossetto rosso e quel vestito scollato.» oppure «Copri i tuoi capelli, prima di uscire.» oppure «Non amerai altro uomo all’infuori di me.»
Le donne sono sole ad affrontare le conseguenze del loro rifiuto. Quelle colpevoli, quelle che non denunciano.
Ci sono donne che lasciano i padri uccidere le figlie; altre che accusano le vittime di violenza aver provocato i loro figli; ci sono persone che difendono i loro amici perché non farebbero del male nemmeno a una mosca.
Esistono uomini capaci di spaccare zigomi e spappolare milze, di pugnalare con un coltello da cucina, di stringere le mani intorno al collo, di premere il grilletto, di cospargere di benzina e dare alle fiamme… Una donna.
L’omertà uccide: la responsabilità di un femminicidio dovrebbe essere distribuita equamente.
La maggior parte delle volte, le donne non denunciano. Per mesi cercano di zittire quella voce interiore che le tiene sveglie di notte e dice: «Vai via, prima che sia troppo tardi.»
Di giorno, però, tornano al loro quotidiano, giustificano le azioni del marito. Rimangono con lui per il bene della famiglia, perché i bambini sono piccoli, perché hanno paura, perchè non hanno fiducia in se stesse.
Poi arriva un momento in cui si capisce, come svegliandosi da un brutto sogno, che devono allontanarsi da lui perché ne va della loro stessa vita e di quella dei figli.
Si, è possibile avere più di un figlio con un uomo che ti maltratta, ti umilia, ti picchia perché di solito tutto questo avviene nel chiuso delle mura domestiche con le tende tirate: gli altri continuano a dire che siete una coppia fantastica, che hai sposato un uomo premuroso, così preso dalla famiglia.
Non hanno mai visto i segni delle sue cinque dita sul tuo viso, gli ematomi e le ecchimosi sapientemente provocati dove nessuno può notarli.
Vorresti parlarne con un’amica, i tuoi genitori, tuo fratello, le mamme della scuola, ma non dici nulla dei maltrattamenti psicologici e fisici, perché ti vergogni, non vuoi ammettere a te stessa che hai sposato una specie di mostro e ti senti sbagliata e stupida. E non riesci a denunciare.
Ti illudi che non sia così aggressivo e violento, che puoi ancora riuscire a farlo ragionare. I suoi abusi diventano il segreto di famiglia.
Poi, un pomeriggio, quando lui è a lavoro, infili in una borsa qualche cambio, i pupazzetti preferiti dei tuoi figli e pensi di potercela fare a infilarti in macchina e andare a chiedere aiuto.
Ma non hai fatto i conti con la sua sospettosità, non sei stata furba abbastanza.
All’improvviso, quando stai per ingranare la prima, qualcuno si avventa contro il tuo finestrino: è lui, vedi il luccichio di una lama. Urli dallo spavento, i tuoi figli incominciano a piangere.”
Laura, fa una pausa, chiude gli occhi e si tiene la testa tra le mani: non riesce a leggere oltre. Si alza, sa quello che ha scritto:
“Non ricordo di aver premuto l’acceleratore. La polizia mi trova ancora con le mani aggrappate al volante, impietrita, con lo sguardo perso nel vuoto. I testimoni che hanno assistito alla scena, sotto shock, parlano di una violenza sconcertante, inaudita: ho investito mio marito, una prima volta e poi una seconda, in retromarcia.
Il 25 novembre, si dovrebbe parlare anche di donne che sono state costrette a uccidere i loro aguzzini.”
Laura è rinchiusa in una cella e non le lasciano vedere i figli perché ha ammazzato il loro padre, come un cane.