Non chiamateci emergenti
cronaca di una scrittrice frustrata
Dai su, ho 44 anni.
Se chiudo gli occhi, mi vedo ancora come dieci, quindici, anche venti anni fa, ma quando li apro lo specchio mi rimanda l’immagine di una che nemmeno per sbaglio chiamano ancora signorina, una che ha già fatto volar via dall’armadio pantaloncini e minigonne da un pezzo.
Sono una donna di mezza età, spero ancora giovanile, sicuramente ancora desiderosa di vivere e di farlo con gusto.
Sono una scrittrice.
Questo significa che amo sognare, sì, e questo mi rende senza età, ma anche che so riflettere, analizzare, e questo anche mi rende fuori dalle classificazioni.
Scrivo da sempre, da che ho imparato a prendere in mano una penna e ho avuto un quaderno che non fosse destinato ai compiti. Ho scritto fiabe, quando ero piccina e per me esisteva solo quel genere, ho scritto poesie, ho scritto storie più lunghe quando anche le mie letture si sono fatte più articolate e complesse.
Ho smesso prima di fumare che di scrivere.
Ecco, io sono questo: sono quello che scrivo, ma sono anche quello che la mia penna sa, e non dice. Sono le dita che accarezzano la tastiera, la testa che edita le opere scritte, sono una blogger che si occupa di vari argomenti: se leggete queste pagine già lo sapete.
Ora, perché vi racconto tutto questo? Perché, cari lettori, un po’ di stanchezza a volte vela il mio entusiasmo, la stessa che spesso leggo nei post social di mie colleghe.
Stanche di che, vi chiederete voi? Di scrivere? Allora questo post potevi risparmiartelo, che non interessa nessuno,
Cari amici, siamo stanche di nuotare.
Ecco, il caldo le ha dato alla testa.
Dovete sapere che quando ho iniziato a cercare editore, più di dieci anni fa, la prima cosa che mi trovai addosso fu l’etichetta “esordiente”. Sapete che vuol dire? È la stella di Davide dell’editoria, quella che compare nella lettera di presentazione che mandi agli editori e già rischi di venir cestinato.
Esordiente voleva dire “mai pubblicato con ISBN vero”: il self non valeva, l’editore a pagamento anche meno, il giornalino della parrocchia neppure. Già potevi sentirti meno schifo se avevi “vari racconti in riviste e antologie” (sì, insomma, siamo a livello pietà 1), poco più su se potevi asserire di “scrivere per una testata giornalistica locale” (livello pietà 2). Blog, siti e altre sciocchezzuole non erano nemmeno considerate.
Superato il terribile scoglio del primo ISBN diventavi emergente.
Ed eccoci qui, noi poveri autori a bagno.
Tutti a emergere da un non precisato fango, o dalle acque marine, simbolo di morte quanto di vita.
Oggi le cose sono cambiate, eh. Adesso pubblichi in self la lista della spesa ed emergente lo sei già, e sei pronto per dare la caccia a blogger e recensioni, a preparare giveaway e concorsi fedeltà, a creare gruppi dedicati al tuo libro e pagine in cui il tuo nome è affiancato da “autore” o “scrittore”.
Se prima l’emergente stava in uno stagno affollato, oggi sta in una pozzanghera a dir poco brulicante.
Avere passato tanti anni a scrivere e sentirmi ancora addosso questa etichetta mi fa uno strano effetto.
Qualche volta, quando qualcuno mi dice che sono un’emergente, vedo me stessa più o meno così:
e nella testa mi parte la canzone My Heart Will Go On di Celine Dion.
Il nostro pozzangherone gelido è spietato, lo capite se su facebook avete qualche amica scrittrice. Ci sono addirittura faide a colpi di recensioni, commenti, schieramenti di lettrici nei gruppi… fino a piccole guerriglie a colpi di post.
Se emergo io, affondi tu.
Di Caprio poteva salire sulla porta-zattera? No, perché se non affondava lei. E a quanto pare, lo stesso accade fra autori.
Se un’autrice emerge, ce ne deve essere almeno un’altra che affonda.
La logica ci direbbe il contrario: se scriviamo lo stesso genere, la lettrice o il lettore tuo può essere anche il mio. Non c’è conflitto, anzi, nel momento in cui ho dei lettori affezionati e io e te siamo amiche, i miei lettori leggeranno anche te, perché si fidano del mio giudizio.
E invece, no, non funziona così. Perché Amazon fa una classifica, che cambia di ora in ora, nella quale inesorabilmente noi emergenti ci aggrappiamo alla porta di Rose e vogliamo stare all’asciutto nella top 100.
Se voglio emergere, devo affondare altri 10000000 autori che possono fregarmi il posto in top 100, fosse quella generale o solo quella dei romanzi religiosi scritti in sanscrito. Quest’ultima è più facile da scalare, ve lo dico.
Se a scrivere fossero meno persone, se tutte queste leggessero altri romanzi e li recensissero e li facessero girare, ci sarebbe più posto, sulla nostra povera zattera, ma oggi la pozzanghera si è stretta, il numero di naufraghi della penna è aumentato a dismisura e sembra che anche la porta si sia ridotta a un salvagente. O a una paperella di gomma.
Emergere è dura per i giovani, che hanno scritto il primo libro e sono pieni di entusiasmo.
Figuratevi alla mia età, quando scrivere non è più un gioco divertente, ma ormai un dichiarato salvavita.
E no, a 44 anni non ho voglia di mettermi in gara per salire sulla porta.
Direte, saggiamente, che se non sono emersa in questi dieci anni, meglio che affoghi nel ghiaccio, perchè è evidente che non valgo la fama.
Ma di chi è la fama?
Chi è che è emerso sul serio?
Sono poche le Rose sulle porte. Anzi, di Rose ce n’era una: sono emersi quelli che avevano posto sulle scialuppe, quelli che non si sono bagnati nell’acqua gelata. Sono emersi Barbara d’Urso, i politici, i famosi, i “personaggi” e qualche rara, rarissima Rose che meritava di tutto cuore la sua porta magica.
Spesso le Rose arrivano dall’estero: emergono in acque più propizie, dove le porte galleggiano davvero, mentre qui in Italia a volte vanno a picco, magari per far passare meglio le scialuppe.
A 44 anni questi sono giochi che lascio volentieri a chi sa nuotare meglio, a chi sa remare, a chi sa arrampicarsi meglio sulla porta di turno. O semplicemente è più giovane e speranzoso.
Non chiamatemi emergente: sono solo una scrittrice che si fa la sua strada e non ha voglia di giocare a Titanic.
E se proprio devo fare questo gioco, preferisco andare a prua e fingere di volare. Non ho più l’età per emergere, ma per spiegare le mie ali sì.
Io pubblico da sola: l’editoria 2.0
Ciao Antonia, mi ritrovo moltissimo nel tuo articolo, amaro ma realistico, anche un po’ ironico e con un fondo di speranza: quello di voler continuare a trovare i propri spazi e le soddisfazioni nella scrittura.
Siamo tutti emergenti ed è faticoso.
Io personalmente ho fatto già da tempo pace con le mie ambizioni. Scrivo per passione, non cerco la fama, mi emoziono ogni volta che un lettore mi dice che ha apprezzato il mio lavoro e vado avanti così.
Vivo le mie soddisfazioni senza ambizioni e vivo bene. Però comprendo che per tante altre colleghe non sia così, che c’è il sacrosanto diritto di voler provare a raggiungere un risultato di visibilità che diventa anche il giusto riscontro, dopo tanto duro lavoro.
Tanta stima, solidaerietà e un po’ di sano supporto. <3
Loriana Lucciarini
Grazie Loriana <3