Senzanome di Mirfet Piccolo
Voce alla Musica
recensione di Gianna Ferro
Senzanome è un romanzo di Mirfet Piccolo edito da Giulio Perrone Editore nel 2022.
Quando il dolore diventa sempre più grande, si trasforma, ma poi ritorna più forte di prima; quando la vita dopo tanto dolore riparte, si arresta e riprende, l’essere umano non può far altro che ricercare in se stesso, pur con un equilibrio instabile, la propria identità, la propria posizione nel mondo, anche quando questo è ostile.
Di cosa parla Senzanome?
La protagonista del romanzo ha sempre cercato una propria identità, l’ha desiderata, con tutta la sua forza ci ha creduto e in qualche modo l’ha trovata.
La bambina ha sei anni, grassa e con i capelli crespi, ha una sorella con gli occhi azzurri e una madre coi denti marci, ha anche un padre, sparito, ma che lei ne aspetta sempre il ritorno.
Senza una dimora, prima di andare a vivere in una cascina, che aveva tutto l’aspetto di una comune, furono ospiti in casa di conoscenti, che le bambine chiamavano zii. Il corpo della bambina fu violato per la prima volta dall’uomo, presunto zio, che le ospitava.
“[…] Facciamo questo gioco, un gioco un po’ diverso dagli altri: tu prova a resistere, dice l’uomo, prova a non ridere e a stare ferma mentre ti faccio il solletico. Il trucco, le spiega, è pensare ad altro; se resisti vuol dire che sei forte.[…]”
Finalmente una casa, anche se minuscola, per tutte e tre; la mamma trova lavoro come cameriera in un self-service, ma il suo atteggiamento nei confronti delle figlie non cambia.
La bambina ha paura della notte, perchè al buio la madre entra nella camera dove dorme e con un’asta di gomma la picchia, la insulta e la maledice per essere venuta al mondo.
“[…] È notte e le sorelle stanno dormendo. Poi è ancora più notte e la madre frusta la bambina: ti ho detto di buttare la pattumiera e non lo hai fatto.[…] La bambina riprende a respirare, distende il corpo: è finita, pensa, anche questa volta è passata.[…]”
Un giorno arriva un’assistente sociale per comunicare alla madre che la piccola passerà l’estate e i fine settimana con una famiglia affidataria. Sarà, finalmente, una bambina diversa. La coppia, alla quale viene affidata, le trasmetteranno affetto e serenità. Nella loro casa ha anche una stanza tutta per sé. La bambina sogna e crede di poter restare lì per sempre.
Ma non sarà così, tutto ha una scadenza.
“[…] La bambina e la madre sono sul tram che sta andando incontro ai palazzi alti e scrostati. Il tram è pieno di gente e la bambina non ha trovato il posto solitario vicino al finestrino. Siede accanto alla madre che non la guarda negli occhi e le dice: non ti volevano più, ne hanno presa un’altra più piccola. […]”
La bambina scoprirà tempo dopo che le cose non sono andate come gliele aveva vomitate in faccia la madre.
La porterà, invece, in un orfanotrofio, in cui lei è la terza di solo due femmine e tutti maschi. Tutti i giorni frequenta una scuola pubblica che raggiunge con il pulmino dell’orfanotrofio, ma il sabato e la domenica ritorna dalla madre: e la notte continua a farle paura. Le lacrime ingoiate perchè presa in giro da altri bambini per il suo aspetto fisico e l’odio di sua madre: quanto dolore.
Grazie a un disegno riceve un premio di cinquecentomila lire: “ Ti serviranno quando uscirai da qui, le dicono, diciamo che è la tua dote.”
In quell’istituto imparerà a conoscere la musica, a strimpellare una chitarra e a dar sfogo ai suoi sogni di diventare un giorno una musicista, o meglio una direttrice d’orchestra. L’orfanotrofio viene trasferito in una comunità-alloggio, che sembra una vera casa. I bambini restano in pochi, tre femmine, compresa lei, e quattro maschi, e con loro gli educatori.
Ha quasi undici anni, andrà in prima media e conoscerà altre ragazze che la inviteranno spesso a casa loro, in cui si respira amore familiare, quello che lei non ha mai conosciuto.
Nel collegio divide la camera con le due ragazze, sorelle, ma la notte continua a farle paura. Con la complicità di un educatore, molestatore, il ragazzo più grande, dei maschi, entra in camera della bambina e ne abusa, quasi ogni notte.
Un’immagine che è un pugno allo stomaco.
“[…] Dieci anni, quasi undici, quanti sono? Sono tanti o pochi? Quanta musica può contenere uno spartito? Quante parole possono essere scritte su di una pagina? Quanto silenzio può esserci nella bocca di una bambina di dieci anni, e quanto sangue nella sua vagina?[…]”
La ragazza, che era bambina, è sempre silenziosa, si vergogna del suo essere, si sente inappropriata in mezzo agli altri, ma resiste. Suona la chitarra, studia e legge tanto.
Il ragazzo-uomo, come lei lo chiama, ormai è fuori dal collegio, ma la contatta e con la scusa che ha una chitarra per lei, la invita a casa sua. Un giorno tornando da scuola la ragazza pensa di fermarsi, solo un momento, per la chitarra si dice. Una volta lì subisce la violenza del ragazzo, ancora più cruda, più disgustosa, ancora più infame.
Ha dodici anni, poi tredici, ma lei non si perdona. Esce dal collegio con una borsa di studio che le consentirà di continuare la scuola. La ragazza più grassa diventa la più brava della classe. La sua misera cameretta è piena di libri: la sua salvezza, perchè la lettura è il posto in cui non ha paura.
La madre non è cambiata continua a denigrarla, a maltrattarla, ma lei resta nel suo silenzio.
Ora ha anche un ragazzo, un compagno di scuola, ma non crede in questa storia. Il ragazzo-uomo continua a cercarla. Lei non vuole nessuno, neanche il ragazzo della scuola che piace a tutte, perchè quando le si avvicina troppo, tutto ritorna.
“[…] tutti e in ogni luogo in cui lei si trovi o transiti – vedono che in lei c’è qualcosa di rotto di spezzato di tagliato con unseghetto e allora, lei, la ragazza che studia sempre prova vergogna sempre[…]”
Le ragazzo-uomo la perseguita con telefonate minacciose e lei ha paura. Vorrebbe una vita normale, serena, un futuro migliore del suo presente, ma il passato la tormenta.
Ha diciotto anni è andata via da casa. Divide una stanza con altri ragazzi e si è iscritta all’università, ma presto abbandona anche quella. Spesso si lascia andare e dona il suo corpo, ha bisogno di non sentirsi sola, soffocando tutto, anche se stessa.
Ha ventitrè anni si trasferisce a Londra con un uomo che ha incontrato a Milano. Lei lavora, lui la controlla. Il loro è un rapporto malato. La giovane vuole continuare gli studi, mantenendosi col suo lavoro, lui vuole contringerla a non farlo.
Come andrà a finire?
La donna ha quasi trent’anni e vuole dare un senso interiore alla sua vita: è arrivata la resa dei conti.
Cosa farà la giovane donna Senza Nome? Avrà pareggiato o vinto la partita col suo passato?
Perchè leggere Senzanome?
In questo romanzo i personaggi, partendo dalla protagonista non hanno un nome. Forse perchè tutti, nessuno escluso, potessimo sentirci parte di questa storia e dare noi un nome a tutti loro.
Un racconto che parla di abusi e violenze sessuali perpretate su bambini, l’atto più ignobile e tremendo che si possa immaginare. Nel romanzo forse nessuno ha pagato, solo la ragazza ha portato addosso e nell’anima le ferite e le conseguenze delle violenze subite, espiando una colpa non sua.
Mi chiedo: se avesse avuto una madre diversa, avrebbe avuto lo stesso destino? Forse no o forse sì, chi lo può dire. Ce lo chiediamo tutti i giorni guardando le immagini e ascoltando le cronache che mandano i notiziari. Quanti bambini innocenti, quante donne sono vittime di gente folle e deplorevole.
Questo romanzo è la risposta di cosa lascia una violenza su un minore: il percorso di vita cambia, non si è più gli stessi, ci si sente colpevoli, come la protagonista, fino a quando una profonda ricerca interiore, nella migliore ipotesi, fa comprendere che loro non hanno colpa, ma da condannare sono quelle persone malate e pervertite che violano e distruggono l’innocenza.
Leggere Senzanome è un gesto di consapevolezza verso un grave problema che attanaglia la società civile. La sensibilizzazione, la conoscenza e i buoni esempi devono essere il primo passo che tutti dovrebbero fare per scardinare questo atto criminale.
Mirfet Piccolo con Senzanome ha fatto questo: attraverso il racconto di una bambina, porta alla luce un dramma, una storia vissuta a piccoli e dolorosi passi, che lascia un segno indelebile.
Bisogna leggerlo per scuotere le coscienze e per non chiudere gli occhi. C’è tanto da fare, non voltiamoci dall’altra parte, iniziamo con la lettura di libri come questo.
Senzanome pur nella sua cruda essenza è un libro meraviglioso.
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Sinossi
In questa storia c’è una bambina, una ragazza, una donna senza nome: è una bambina con la bici rossa, una ragazza che ama leggere, una donna che ha paura della notte. Non ha nome nemmeno la madre dai denti marci che la tratta male, la chiama “scimunita” e “ingrata”; non hanno nome il suo peluche e la sorella dagli occhi blu che sembra sempre la favorita; non ha nome l’amico di famiglia che le infila le mani nelle mutande, né il ragazzo più grande che spesso entra nella sua stanza in comunità per slacciarsi i pantaloni; e non hanno nome i compagni di scuola che la trovano grassa e la prendono in giro per i capelli troppo ispidi.
Non è possibile avere un nome che saldi e rimetta a riparo l’identità, quando l’infanzia è un inganno e il perdono viene negato perfino a se stessi. Partendo dalla periferia di Milano, allungandosi fino alla provincia di Milano su treni che partono e sembrano scappare verso nuove vite e possibilità, Senzanome racconta la storia di una bambina cresciuta troppo in fretta e che, pur non rassegnandosi a essere vittima, ricostruisce pezzo per pezzo le menzogne, i dolori dal passato fino al presente, fino al momento della liberazione.