“Differenze di genere: mito o realtà?” di Annalisa Allegri
Mettiamo due amiche ad un tavolo e nel giro di mezz’ora parleranno dei loro rispettivi compagni, trovandosi d’accordo su alcuni punti fondamentali: l’uomo fa una cosa alla volta; l’uomo con trentasette di febbre è ridotto alla stregua di un’ameba; l’uomo pensa solo a “quello”; l’uomo è egocentrico, narcisista ed egoista.
La lista potrebbe continuare all’infinito.
Probabilmente, se potessimo viaggiare a ritroso nel tempo, scopriremmo che le nostre bis bis bis nonne dicevano le stesse identiche cose e, così, le madri prima di loro.
Data la ricorrenza di tali argomenti, non possiamo non chiederci se ci troviamo di fronte ai dei luoghi comuni, all’apoteosi dello stereotipo e della maldicenza o se, in fin dei conti, un fondo di verità esista.
Abbiamo intervistato per voi la professoressa Arianna Allegri, studiosa della differenza di genere e docente di antropologia
culturale.
(la professoressa è il mio alter ego… Non esiste!)
Dottoressa, l’uomo è davvero così difettoso?
Un tema importante, questo, spesso oggetto di gag comiche e di battute ilari tra amici.
Senza paura di essere contradetta, posso affermare, giocosamente, che gli uomini sono difettosi.
Rivestendo i panni dell’antropologa, però, spiego meglio il mio pensiero.
Al di là delle caratteristiche personali, che rendono unico ogni individuo, non è giusto parlare di difetti, quanto di peculiarità.
L’uomo e la donna sono fisicamente e psicologicamente differenti.
Questo fa sì che, inevitabilmente, abbiano anche delle attitudini differenti.
Quindi esiste un sesso forte o superiore?
Assolutamente no! Diverso, non significa peggiore, ma altro da sé.
Questa è una differenza concettuale fondamentale, la non comprensione della quale è all’origine della maggior parte dei problemi della società odierna.
Ci potrebbe spiegare meglio in cosa consistono queste differenze?
Prendiamo, ad esempio, una delle lamentele più frequenti delle donne: l’uomo non parla, si chiude nei suoi pensieri.
È un dato di fatto, noi ragazze parliamo più dei nostri compagni.
Qual è la spiegazione di questo fenomeno?
Dobbiamo risalire alle origini.
La donna è sempre stata “adibita” alla cura dei figli.
Almeno nel primo periodo di vita, in virtù dell’allattamento, era, ed è tutt’oggi, la figura di maggior impatto.
Non fosse altro che per la quantità di tempo che passa con il figlio, oltre alla cura fisica del bambino, è anche dedita all’insegnamento del linguaggio e alla “programmazione” del piccolo uomo che deve crescere.
Le parole e la capacità di comunicare sono lo strumento principale per adempiere a questa funzione.
Dal canto suo, l’uomo aveva storicamente il compito di procacciare il cibo.
Questo prevedeva delle capacità di concentrazione e di mimetismo che necessitavano di silenzio.
Ecco spiegato, così, anche il “fa una cosa alla volta”.
Il cacciare richiedeva che facesse solo quella cosa, pena la perdita della preda e della cena.
Questa, ovviamente, è una semplificazione del concetto, ma ha fondamenti reali.
Secondo lei, quali sono le principali differenze tra uomo e donna?
Volendo schematizzare al massimo, possiamo dire che, in generale, l’uomo ha una visione d’insieme delle situazioni, là dove la donna tende a concentrarsi più sui particolari.
Un’altra caratteristica, più tipicamente maschile, è la tendenza a non lasciarsi guidare dall’emotività e la capacità di disconnettersi nel momento in cui si supera una certa soglia di stress. Elemento, quest’ultimo, di cui difficilmente sono dotate le donne.
L’iper connessione neurale della quale ci vantiamo, sovente, ci rende troppo presenti, petulanti e incapaci di delegare; pratica nella quale, consentitemi la battuta, gli uomini eccellono.
Così non sta postulando l’impossibilità delle pari opportunità?
Di nuovo devo risponderle con un categorico: assolutamente no!
Ammettere l’esistenza di differenze non vuol dire che una donna, o un uomo, non possa occupare una certa posizione.
Significa, semplicemente, che gli obiettivi saranno perseguiti e raggiunti con modalità diverse.
La società odierna pretende che una donna, per ricoprire determinati ruoli, debba assumere degli atteggiamenti maschili e questo non è possibile.
Alla stessa stregua, quante volte abbiamo sentito o pensato: “Non posso lasciare mio marito con i figli perché non riuscirebbe mai a gestirli”? Sicuramente gestirebbe la situazione differentemente da noi, questa è una certezza, ma riuscirebbe a gestirla.
Non potremo parlare di pari opportunità, finché non si avrà il riconoscimento delle reciproche differenze.
Solo nell’esaltazione, nella valorizzazione e nella composizione delle diverse peculiarità potremo ottenere il 100% dell’efficienza.
Uomo e donna non sono subalterni, ma complementari e fin tanto che non si arriverà alla comprensione di questa evidenza, vivremo in una società mutilata che lavora ben al di sotto delle sue potenzialità.
È quanto mai importante insistere su questi concetti e insegnarli ai nostri figli perché costruiscano un futuro diverso.
Quale giorno migliore per iniziare se non oggi, appena dopo l’otto marzo?